Massoneria in Italia: l’ombra oscura della P2 – Voci fuori dal coro

La Prima Repubblica, come ormai si sa, è stato un periodo molto controverso della storia italiana. Dal boom economico alla strategia della tensione, dai tentativi di golpe ai ruggenti anni ’80. In molti, però, hanno quasi dimenticato (o non ne sono mai stati a conoscenza) che molti degli arcani del nostro Paese, ormai archiviati senza colpevoli o mandanti, avrebbero un denominatore comune: la massoneria, la P2.

La loggia massonica, Propaganda 2, resa famosa dal suo “Maestro Venerabile”, Licio Gelli, è stata una delle più grandi e potenti organizzazioni della Prima Repubblica, nonostante la sua fondazione sia necessariamente da retrodatare di alcuni decenni (fine ‘800). Comunque sia, la loggia sotto l’amministrazione Gelli non è stata più la stessa. Nel giro di pochi anni all’interno delle sue fila sono entrati personaggi politici, militari e finanziari molto importanti, i più potenti d’Italia e non solo.

Inoltre, i lavori della Commissione Parlamentare Anselmi, avviati poco dopo la scoperta della ormai celeberrima lista di adepti, hanno portato alla luce una miriade di misteri e una sola certezza: “La loggia massonica P2 è un’organizzazione eversiva, pericolosa per la stabilità democratica del Paese”.

Licio Gelli ha più volte respinto questa tremenda affermazione, giustificando il senso della loggia nei dettami della “fratellanza e della solidarietà massonica”. D’altronde, che male può fare un’associazione privata, anche se composta da esponenti di spicco del mondo politico, militare ed economico italiano?

Non è proprio così. Dopo questa breve introduzione, è bene fare un salto nel tempo per spiegare, per filo e per segno, cosa è stata la loggia P2, chi ne ha fatto parte e perché nel 1981 Tina Anselmi pronunciò quella frase, a mo’ di sentenza.

Però, prima di iniziare, è bene ricordare che articoli di questo genere, sui misteri italiani, dovrebbero essere sempre “presi con le pinze”. La storia del nostro Paese, soprattutto quella avente ad oggetto la Prima Repubblica, è piena di ipotesi, arcani e incertezze, ancora tutte da verificare.

La massoneria in Italia, una storia frammentata

Le prime testimonianze certe e documentate di una presenza massonica in Italia risalgono al 1723, in Calabria. Da lì in poi la sua presenza si estenderà, attraverso diversi rami e interpreti, su tutto il territorio nazionale. Di grande importanza fu il ramo instauratosi verso la fine del ‘700 a Napoli, a cui presero parte indirettamente i regnati del luogo e che, dopo la Rivoluzione Francese, fu sciolta, vietata e condannata in seguito alle infiltrazioni e alle simpatie francesi maturate durante i concitati avvenimenti d’oltralpe. Dopo la discesa di Napoleone, Gioacchino Murat, nuovo re di Napoli, ripristinò in toto la massoneria partenopea, formata principalmente da intellettuali di alto rango e studiosi che, nelle intenzioni, avrebbero dovuto elaborare un progetto di Costituzione per il Regno di Napoli. In seguito alla disfatta napoleonica a Waterloo e al ripristino dello status quo ante borbonico, quasi tutti i massoni, assieme ai murattiani, vennero giustiziati.

La Rivoluzione Francese spaventò le monarchie europee che si affrettarono ad abolire e condannare tutte le logge massoniche di cui erano a conoscenza. I monarchi non vedevano di buon occhio queste associazioni segrete che potevano sovvertire lo stato di cose, mettendo in pericolo la legittimità dell’ordine costituito.

Nel 1805 nacque quella che noi oggi conosciamo col nome di “Grande Oriente d’Italia”, in pieno periodo napoleonico, a Milano. In quell’occasione venne eletto sovrano dell’Ordine Eugenio di Beauharnais e come cancelliere proprio il re di Napoli, Gioacchino Murat. Il Grande Oriente, ancora oggi, rappresenta il principale ordine massonico italiano, con sede a Roma a Palazzo Giustiniani.

Tra i più importanti massoni dell’Ottocento si possono ricordare Giuseppe Garibaldi, salutato come “primo libero muratore” e Francesco Crispi, futuro Presidente del Consiglio del Regno d’Italia. Da escludere, invece, è la partecipazione di Giuseppe Mazzini, uno dei più celebri patrioti italiani, alla massoneria essendo impegnato in una società segreta, la Giovine Italia. E’ bene tenere a mente che la Carboneria e la massoneria sono due cose distinte.

Comunque sia, la presenza massonica in Italia diventa davvero consistente alla fine del XIX secolo. Nascono delle logge, raggruppamenti di almeno sette persone, che in gran segreto, essendo la massoneria malvista dallo Stato (nonostante la partecipazione dei suoi esponenti più autorevoli) e dalla Chiesa Cattolica (la quale vietava la partecipazione alla massoneria), si riunivano in cerimonie ed esercitavano attività, ancora oggi a noi sconosciute. Infatti nessuno sa cosa effettivamente cosa avviene e di cosa si discute all’interno di una cerimonia massonica.

Alcuni autori sostengono che la massoneria, nel 1914, favorì l’entrata in guerra del Regno Italia per completare l’unificazione nazionale. La spinta interventista massonica non fu, ovviamente, impressa in modo formale e solenne bensì attraverso un incessante lavoro di canalizzazione, coordinamento e di coagulo di forze sociali, stimolate da una propaganda nascosta ma efficace.

L’avvento del Fascismo e l’ascesa di Mussolini

All’inizio del secolo scorso, la massoneria venne sottoposta a un duro attacco proveniente dai versanti più disparati. Nel 1917 venne pubblicato il canone 2335 del Codice del Diritto canonico che prevedeva la scomunica per i massoni. Nel 1922 il IV Congresso dell’Internazionale Comunista sanciva l’incompatibilità del comunismo con l’appartenenza ad una loggia massonica. Infine, l’anno dopo, Benito Mussolini, Duce del Fascismo, dichiarava l’incompatibilità tra la militanza nei ranghi fascisti a quella massonica. Le logge cercarono in tutti i modi di ammorbidire la fermezza del Duce, senza risultati.

Il rapporto tra massoneria e Fascismo, a dire il vero, fu sempre molto ambiguo. Agli albori della sua carriera, il Duce era sostenuto da alcuni massoni che, addirittura, lo coadiuvarono nella nascita del Popolo d’Italia, attraverso l’acquisto delle rotative. Inoltre, sempre secondo autorevoli fonti, il movimento di Piazza San Sepolcro, con cui si fa coincidere la nascita del Movimento dei Fasci, vide la partecipazione di una ventina di fratelli milanesi.

L’appoggio massonico a Mussolini, seppur ancora avvolto dal mistero, ha un fondo di verità. Infatti dopo la legge del 1923 un deputato massonico, il lucano Pietro Faudella, pronunciò una frase che, si potrebbe dire, scioglie ogni dubbio: “un atto di ingratitudine verso la massoneria in genere e verso la massoneria milanese in particolare”.

Comunque sia, nel 1925 il Gran Maestro Domizio Torrigiani firmò l’ordine di scioglimento di tutte le logge massoniche operanti ad eccezione del Grande Oriente, che continuò ad operare in clandestinità prima e in esilio dopo.

Nonostante l’apporto massonico all’ascesa di Mussolini, si può ben comprendere che un regime dalle fattezze autoritarie non può tollerare che ci sia un altro potere all’infuori dello Stato. Forse è questo il motivo principale per cui Benito Mussolini cercò in tutti i modi di combattere le logge massoniche, conscio del potere destabilizzante che possedevano.

In questo frangete possiamo collocare la figura di Licio Gelli. Nato a Pistoia nel 1919, a diciotto anni aderì alla causa fascista partendo volontario per affiancare i nazionalisti nella Guerra Civile Spagnola. Da lì in poi, la sua scalata nelle gerarchie fasciste fu rapida e notevole. Nel 1942, divenuto ispettore del PNF, fu incaricato di trasportare in Italia il tesoro del re di Jugoslavia: 60 tonnellate di lingotti d’oro, 2 di monete antiche, 6 milioni di dollari e due milioni di sterline. Nel 1947, quando il tesoro fu restituito, mancavano all’appello 20 tonnellate di lingotti. Fu ipotizzato che il tesoro mancante sarebbe finito nelle tasche di Licio Gelli, ipotesi sempre smentita, o trasferito in Argentina per conto dello stesso. Altri, invece, fanno sapere che parte di quei lingotti sarebbero stati nascosti nella sua villa ad Arezzo, villa Wanda.

L’ascesa di Licio Gelli, la “nascita” della P2 e il “Piano”

Dopo l‘8 settembre 1943 si può collocare la seconda fase della vita di Licio Gelli. Nella Repubblica di Salò divenne ufficiale di collegamento tra la RSI e la Germania Nazista e, intuendo che la guerra sarebbe finita di lì a breve, cominciò a collaborare con i partigiani e gli americani, permettendo loro di accedere ai depositi delle munizioni dei nazi-fascisti. Dopo il 1945 i partigiani vorrebbero comunque processarlo, reo di aver fatto parte del regime, ma una serie di impedimenti, interventi americani perlopiù, glielo impedirono.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, si ipotizza che Gelli si sia arruolato nella CIA, su raccomandazione del neonato servizio segreto italiano, ma tali supposizioni non hanno mai trovato conferma. Contemporaneamente, però, alcuni agenti lo sospettarono di collaborare attivamente con i sovietici, descrivendolo come “un personaggio capace di qualunque azione”. Venne messo sotto sorveglianza, ed è in questo periodo che si intensificano gli incontri con Michael Ledeen, un agente della CIA.

Licio Gelli, negli anni successivi gestì senza fortuna una libreria e, successivamente, diventò direttore commerciale di un’azienda, la Permaflex, di Frosinone. Durante la sua direzione, lo stabilimento divenne meta di incontri di politici, ministri, vescovi e generali. Dal 1948 al 1956, l’imprenditore fu anche autista e segretario del deputato democristiano Romolo Diecidue.

Fu iniziato in massoneria nel 1963 e in breve tempo, come suo solito, ne scalò le gerarchie fino a diventare maestro venerabile della loggia Propaganda 2.

La loggia Propaganda 2 nasce ben prima dell’avvento di Licio Gelli, nel 1877 col nome di “Propaganda massonica”. Fu sempre alle dipendenze del Grande Oriente d’Italia fino all’avvento del faccendiere pistoiese. La particolarità di questa loggia era quella di garantire un’adeguata copertura e segretezza agli iniziati di maggior importanza, sia all’interno che al di fuori della sua organizzazione. In poche parole, i suoi aderenti più esposti pubblicamente, esercitavano le attività cerimoniali all’interno della P2 in gran segreto e senza nessun condizionamento esterno che potesse recar loro qualche danno.

Nel giro di undici anni, tra il 1970 e il 1981, Licio Gelli riuscì ad iniziare alla P2 un consistente numero di politici, militari, giornalisti e affaristi tra i più potenti d’Italia e forse del mondo. Benché per molti di loro si trattasse soltanto di un circolo entro il quale si concludevano degli affari o poco più, nel corso degli anni ’70 alcuni uomini ad essa appartenenti elaborarono un disegno eversivo che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto riformare la democrazia italiana tra libertà e autoritarismo. Il disegno in questione è il celeberrimo Piano di Rinascita Democratica, elaborato dall’eurodeputato democristiano (e massone) Francesco Cosentino su istruzione dello stesso Gelli.

Identificato come parte essenziale del programma della P2, il “Piano” venne sequestrato dalle forze dell’ordine alla figlia di Licio Gelli, all’interno di una valigia dal doppio fondo, e conteneva un vero e proprio progetto di riforma delle istituzione italiane, del giornalismo, della televisione e della magistratura. E’ stato pubblicato online dal Fatto Quotidiano ed è stato al centro dei lavori della Commissione Parlamentare sulla P2, del 1981, guidata dalla democristiana Tina Anselmi.

I suoi punti principali riguardano lo spostamento del centro di potere dal Parlamento alla Presidenza del Consiglio, la fine del monopolio RAI e il controllo/lobbismo sui mass media.

La scoperta della lista degli affiliati alla P2

La scoperta del Piano viene fatta risalire al marzo del 1981. A Castiglion Fibocchi, presso Arezzo, un’ispezione della Guardia di Finanza trovò una lista alquanto strana. Piena di nomi e di numeri, i finanzieri guidati dal Colonnello Bianchi rinvenirono la lista degli affiliati alla P2. Tra questi c’erano grandi nomi: ministri, imprenditori del calibro di Silvio Berlusconi, generali dei Carabinieri, dell’Esercito, della Finanza, della Polizia e del servizio segreto, conduttori televisivi come Maurizio Costanzo, cantanti come Claudio Villa e tanti altri. Per un totale di 962 nomi.

La scoperta, casuale poiché i finanzieri stavano conducendo un’indagine su Michele Sindona (anche lui, comunque, compreso nella lista), creò sgomento all’interno degli apparati pubblici italiani, tanto che l’allora Presidente del Consiglio, Arnaldo Forlani, ritardò la pubblicazione della lista di due mesi poiché al suo interno c’erano due ministri del suo governo.

La proposta di istituire una Commissione d’inchiesta sulla loggia massonica P2 venne presentata il 2 giugno del 1981. A presiederla, come già anticipato, fu l’onorevole Tina Anselmi, prima donna a ricoprire un incarico ministeriale. Democristiana e fortemente attaccata ai valori democratici, l’onorevole Anselmi interrogò senza timore molti dei componenti di quell’organizzazione e, alla fine, pronunciò quella frase, parafrasata ovviamente, con cui si è voluto aprire l’articolo: “La loggia massonica P2 è un’organizzazione eversiva, pericolosa per la stabilità democratica del Paese”.

Il “Piano” e alcuni nomi nelle liste, fecero nascere dei dubbi circa le reali intenzioni della P2. Inseriti nella loggia, infatti, c’erano alcuni dei principali protagonisti del Golpe Borghese del 1970, quello della notte tra il 7 e l’8 dicembre guidato dal Principe Junio Valerio Borghese (comandante della X Mas), del Golpe della Rosa dei Venti e del Golpe Sogno. Insomma, non c’erano solo dei “distinti notabili”, come fece notare successivamente Bettino Craxi.

Questi “nobili interpreti” non hanno mai nascosto le loro simpatie neofasciste, arrivando addirittura a ordire attentati per destabilizzare la situazione democratica, a depistare le indagini e a impedire a tutti i costi di trovarsi un giorno i “clerico-comunisti” al potere.

Dai lavori della Commissione parlamentare sono emersi dei collegamenti tra gli esponenti della P2 e alcuni estremisti di destra responsabili di stragi come quella dell’Italicus, di Peteano, Piazza Fontana e della Stazione di Bologna.

Inoltre al suo interno, come già anticipato, c’erano generali dei servizi segreti e delle forze dell’ordine che, dopo aver assistito “impotenti” ad un attentato, si prodigavano a depistare le indagini e ad insabbiare il tutto. A questo provvedevano anche i giornalisti, alcuni dei quali godevano della “doppia tessera” di giornalista e agente della CIA (come nel caso di Piazza Fontana e dei depistaggi su Valpreda).

Sono emersi anche particolari inquietanti su delitti del magistrato Vittorio Occorsio, ucciso da militanti di Ordine Nuovo (movimento fascista, coinvolto anche in Piazza Fontana). Il magistrato, ucciso nel 1976, stava indagando sulla loggia di Gelli, quando fu raggiunto da un commando che lo giustiziò.

Il resoconto della Commissione Anselmi, della magistratura e gli altri nomi

La prima condanna per Gelli arriverà nel 1987 (8 anni per aver finanziato gruppi di estrema destra in Toscana) ma, già da diverso tempo, Licio Gelli era scomparso. Si trovava in Svizzera dove fu rintracciato dalle autorità italiane che ne chiesero l’estradizione. La Svizzera la concesse a condizione che le condanne non fossero di tipo politico. La Cassazione ordinò un nuovo processo, nel 1991, che assolse il faccendiere.

A Licio Gelli e alla P2 sono stati attribuiti, come anticipato, quasi tutti i misteri d’Italia. Dal golpe Solo, quello del generale Giovanni de Lorenzo del 1965, agli altri ivi riportati, compresi i mancati risultati sul rapimento di Aldo Moro. La presenza di molti uomini del SIFAR, del SISDE e degli altri servizi segreti, nonché quella di uomini politici, ministri, delle forze dell’ordine e dei banchieri collusi con la mafia, ha di fatto confermato queste ipotesi. Inoltre, la scoperta del Piano di Rinascita Democratica di Francesco Cosentino, ha permesso di giustificare la sensazione della Commissione Anselmi circa le intenzioni sovversive di questa loggia.

In particolare, furono attribuiti alla P2 il presunto coinvolgimento (storico-politico) nella strage dell’Italicus, il depistaggio sulla Strage di Bologna, lo scandalo del Banco Ambrosiano (il quale finanziava molte iniziative firmate Licio Gelli, come la temporanea acquisizione, con conseguente modifica della linea editoriale, del Corriere della Sera), gli omicidi di Mino Pecorelli (un giornalista in procinto di pubblicare qualcosa di grosso su Gelli) e del banchiere Roberto Calvi, a Londra. A questi capi di imputazione se ne aggiungono altri, relativi alla volontà del faccendiere di Pistoia di dar vita ad un esecutivo golpista guidato dal potentissimo Procuratore Generale di Roma, Carmelo Spagnuolo, appoggiato dall’Arma dei Carabinieri.

Indiretta, ma comunque consistente, la presenza della P2 all’interno dello scandalo che ha fatto la storia della Prima Repubblica: Tangentopoli. Nello specifico, il nome di Gelli appare tra le testimonianze relative al celeberrimo “conto protezione”, in Svizzera. Dopo la scoperta della lista, al cui interno era contenuto il bigliettino con un nome (“protezione”) e un numero, il conto fu prosciugato. In relazione all’inchiesta sul Banco Ambrosiano, si cercò di far chiarezza anche sul conto protezione ma all’epoca la Svizzera copriva col segreto il nome degli intestatari. Caso archiviato e assoluzione “obbligatoria”.

Durante il periodo di Tangentopoli il caso fu riaperto a causa del presunto coinvolgimento di Bettino Craxi, nel 1993, e si concluse con la condanna di alcuni imputati, compreso Licio Gelli

Alla luce di queste scoperte (tra verità e supposizioni), la Commissione Anselmi giudicò l’esperienza della P2 come un’organizzazione eversiva, un collante tra alcuni esponenti dello Stato e i servizi segreti, aventi il fine di sovvertire l’ordine democratico del Paese.

Le sentenze giudiziarie invece, imputarono a Licio Gelli il procacciamento di notizie contenenti segreti di Stato, le calunnie nei confronti dei magistrati responsabili della scoperta delle liste, il depistaggio sulla strage della Stazione di Bologna e la bancarotta del Banco Ambrosiano. Inoltre, nel 2013 la sua villa è stata sequestrata per vari reati fiscali per 17 milioni di euro ma, a causa di numerose aste andate a vuoto, lo stesso Gelli verrà nominato custode giudiziario della Villa.

Gli altri capi di accusa, tra cui spiccano quelli di cospirazione politica e associazione a delinquere, caddero in seguito ad una pronuncia della Corte di Cassazione nel 1994.

Lo scioglimento della P2 e i segreti di Licio Gelli

La corte centrale del Grande Oriente d’Italia, con una sentenza del 31 ottobre 1981, decretò l’espulsione del Gelli dall’Ordine massonico. La loggia fu sciolta dalla Legge Anselmi (17/1982), la quale vieta, in sostanza, la formazione di qualsiasi associazione che travalichi quanto dettato dall’art. 18 della Costituzione (libertà di associazioni), cioè associazioni aventi fini illeciti, sovversivi, antidemocratici siano essi formati da militari, da politici o da civili.

Licio Gelli trascorrerà gli ultimi anni della sua vita ad affermare, assieme ad altri e autorevoli massoni, il nobile fine della sua loggia e a negare qualsiasi tipo di coinvolgimento nei loschi affari della strategia della tensione: “Un’associazione di uomini importanti che perseguiva i fini della massoneria. Non era un’organizzazione eversiva”.

Nonostante lo scioglimento del 1982 e le affermazioni di Gelli, molti dubbi permangono attorno alla figura della loggia. Intanto, gli italiani si sono dovuti confrontare con una realtà a loro estranea, cioè il condizionamento dell’attività politica provocato da soggetti estranei allo stesso o comunque nascosti. Forse il risentimento popolare nei confronti del lobbismo nasce proprio dal resoconto della Commissione Anselmi. A questo va aggiunto il possibile coinvolgimento dei massoni all’interno delle oscure e inquietanti vicende degli anni di piombo.

A livello internazionale, la P2 è stata associata al colpo di Stato in Argentina del 1976, tramite Lopez Rega, e il successivo sostegno al regime di Videla, tramite l’ammiraglio massonico Emilio Eduardo Massera. Alcune piste rivelerebbero uomini della P2 collegati all’omicidio del politico svedese Olof Palme (secondo una delle piste) e a quello di John Fitzgerald Kennedy, tramite alcuni uomini della CIA e all’imprenditore Clay Shaw (poi assolto) appartenenti alla loggia massonica.

In una delle ultime interviste rilasciate Licio Gelli conferma la presenza di un’altra lista (i 500) che conterrebbe alcuni nomi e programmi politici, andata distrutta o volutamente fatta scomparire dallo stesso faccendiere pistoiese. Dunque, il mistero della P2 resta ancora attuale.

Infatti, per concludere, non bisognerebbe mai dimenticare le parole di Luciano Violante, presidente della Commissione Antimafia, che si riferiscono al mistero della loggia, alle sue trame e al suo collegamento con la vita sociale del nostro Paese:

La P2 è stata sciolta da una legge, ma può essere sopravvissuto il suo sistema di relazioni politiche, finanziarie e criminali“.

ildonatello

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