La crisi del “sistema Italia” – Voci fuori dal coro

Con l’avvento dei partiti anti-sistema, molti avevano ipotizzato la “fine della politica” o la crisi di quel sistema democratico che, dagli albori della Repubblica, ha animato le vicende nostrane. Tutto ciò, per ora, non è accaduto. Anche se la proliferazione di questi partiti all’interno delle più solide democrazie europee (Olanda, Svezia e Germania), dovrebbe suscitare qualche preoccupazione alla vecchia classe dirigente.

La vicenda svedese è emblematica: da decenni il partito socialdemocratico è il dominatore incontrastato della scena politica nazionale, con delle percentuali di voto e un gradimento che di gran lunga superano le preferenze degli altri partiti. Nelle elezioni tenute qualche settimana fa, un partito considerato “populista” e di “estrema destra” è riuscito ad intaccare il dominio incontrastato della socialdemocrazia. I “democratici svedesi” hanno incentrato la campagna elettorale sulla lotta all’immigrazione e all’islamizzazione dilagante che da qualche anno a questa parte ha reso il Paese nordico invivibile e con elevati problemi di integrazione. Quel 17% ottenuto alle elezioni ha smosso il Parlamento che recentemente ha presentato una mozione di sfiducia nei confronti del Governo socialdemocratico retto da Lofven.

Dunque, la nascita di queste formazioni che vogliono un radicale cambiamento del sistema non è soltanto un caso. Forse, la loro ragione sociale un senso intrinseco ce l’ha. Nell’attuale sistema, democratico o simil-democratico, c’è davvero del marcio. Dall’immigrazione incontrollata alla criminalità nelle strade, dalla crisi economica alle manovre suicide nei confronti degli operai.

Si potrebbe parlare di lenta destrutturazione del sistema partitico, non solo in Italia ma in tutto il resto d’Europa. Infatti, non pochi sono i punti in comune tra ciò che succede nel nostro Paese e ciò che sta succedendo nel resto dell’UE:

  • Crisi dei partiti tradizionali: una crisi che sta interessando tutto il panorama Europeo, dalla già citata Svezia con i democratici svedesi alla Germania con AfD o “Alternativa per la Germania”, un partito entrato nell’entourage di Governo e che sta dando non pochi problemi ad Angela Merkel. Anche la Francia non sta messa bene, per far fronte al pericolo “populismo” rappresentato da Marine Le Pen, ha dovuto far ricorso ad una sorta di lista civica (En Marche) e ad un Presidente messo lì dall’establishment francese, con una popolarità sotto al 20% e che persegue politiche non dissimili dai suoi predecessori.
  • Personalizzazione della Politica: la crisi partitica è direttamente collegata alla crisi della macchina di partito e alla nascita del “partito personale” incentrato sulla figura del leader. In Italia, queste figure hanno visto la luce con Forza Italia e Silvio Berlusconi. Nel resto del mondo invece, queste figure sono state abbastanza precoci: negli States le figure carismatiche sono state tante ma in molti ricordano Kennedy e Bush, in Francia invece De Gaulle, Chirac e lo stesso Sarkozy, in Gran Bretagna abbiamo visto la prima donna al potere: Margaret Thatcher, una figura dura, emblematica, simbolo del populismo britannico.
  • Crisi economica e migratoria: il rallentamento della crescita, la crisi finanziaria e l’immigrazione incontrollata che si stan verificando in tutti i paesi europei, hanno provocato un’ondata di indignazione nei confronti della classe dirigente “vecchio stampo”. Non c’è bisogno che aggiunga che tutto ciò ha avvantaggiato i nuovi partiti a-politici e anti-sistema.

In Italia questi tre fattori hanno provocato, dal 2008, una crisi politica che è culminata con la caduta del Governo Berlusconi nel 2011 e la nomina di Mario Monti e del suo entourage come “governo tecnico-politico”. L’evoluzione delle manovre economiche e politiche del governo tecnico hanno portato prima alla riforma Fornero, che è costata il lavoro a diverse generazioni di giovani a causa dell’aumento dell’età pensionabile, e alle elezioni politiche del 2013 o del “cambiamento” con l’avvento del Movimento Cinque Stelle e la disfatta della sinistra.

Ma davvero si può ricondurre la crisi dei partiti tradizionali e di tutto il sistema Italia a tempi recenti?

In molti ritengono che questa destabilizzazione sistemica sia stata provocata dalla crisi economica dei Subprime del 2008, con i partiti che non hanno saputo reagire e perdendo di conseguenza la loro legittimità agli occhi degli elettori.

Io credo che questa non possa essere una causa, ma una semplice conseguenza derivante da una catena di eventi che ha portato prima a Tangentopoli e poi ad una lotta “ai fantasmi del berlusconismo”.

Gli eventi che si son susseguiti tra il 1992 e il 1993 hanno decapitato la classe dirigente della Prima Repubblica inaugurando, apparentemente, una nuova era, un nuovo inizio. In poche parole, le inchieste giudiziarie e gli arresti compiuti in quegli anni dovevano rappresentare un input per i nuovi partiti a riparare i vecchi errori e a ridare lustro alla politica italiana fiaccata dalle tangenti.

Invece, i magistrati hanno soltanto scalfito la superficie del problema, non andando a fondo anche per l’intromissione della politica che non autorizzava ad agire nei confronti dei più esposti. Una classe dirigente che, impaurita, non ha pensato a dare le proprie dimissioni o a farsi da parte ma ha pensato solo ed esclusivamente alla propria poltrona.

Ma questo istinto di sopravvivenza lo ritroviamo anche sul finanziamento pubblico dei partiti. Dopo gli scandali degli anni ’60 e ’70, con episodi di corruzione e finanziamenti illeciti, vennero proposte una serie di leggi che dovevano scoraggiare questo fenomeno dilagante attraverso i contributi dello Stato ai partiti che non necessitavano più di finanziamenti esterni. Invece, come dimostrano le vicende successive, non fu così: i partiti continuarono a percepire tangenti e finanziamenti illeciti.

Dunque, il sistema già in quegli anni non si presentava nel migliore dei modi. C’erano delle formazioni partitiche che percepivano contributi provenienti sia dallo Stato e quindi leciti, sia delle tangenti e dei finanziamenti esterni provenienti dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica. Infatti, durante la guerra fredda, le due superpotenze finanziavano i partiti che si schieravano dalla loro parte; in Italia la DC supportava gli americani, il PCI i russi. Ma non solo, la miriade di lavori pubblici mai iniziati o mai finiti (i cosiddetti “mostri”) di quegli anni derivano da affari andati male o dal riciclaggio di tangenti corpulente. Per vincere la gara d’appalto, per impossessarsi di un lavoro redditizio, bisognava prima passare dalla macchina di partito governante in quella zona e versare una tangente; vinceva la gara il miglior offerente. Questo “sistema” inizialmente coinvolse maggiormente la Democrazia Cristiana ma verso la fine degli anni ’80 arrivò a coinvolgere anche il Partito Comunista che all’inizio pretendeva solo lavori per le cooperative rosse. Non mancano però epiloghi tragici come la “tangente Enimont”, un’affare che ha coinvolto l’ENI e la Montedison le due più importanti rappresentanti della petrolchimica italiana. Un affare dove il valore delle tangenti arrivò ad una cifra esorbitante, tale da costringere i contraenti a farsi indietro e a ripagare la politica per uscire dallo stesso.

Un sistema marcio, ma i presupposti l’annunciavano: per non rendere pubblici i lavori dei partiti si è pensato di non dare una definizione organica di partito politico all’interno della Costituzione. Si è preferito mettere sullo stesso piano “partito politico” e “associazione democratica” per evitare che le attività illecite potessero essere rese pubbliche. In poche parole il partito veniva considerato alla stregua di una qualsiasi associazione privata. Ci sono molte ragioni per cui i partiti politici ricorsero ai finanziamenti illeciti: in primis ad una diminuzione dei fondi provenienti dagli USA e dall’URSS che, nel sostenere delle guerre parallele (Vietnam e Afghanistan), diminuirono le uscite; in secundis i costi delle macchine di partito (dipendenti, campagne elettorali e strutture) e dei raduni annuali (ad esempio le faraoniche manifestazioni del PSI a Milano).

La metamorfosi delle formazioni partitiche italiane in vere e proprie “industrie di partito”, unita alla “Terza Rivoluzione Industriale” che negli anni ’70 faceva il suo prepotente ingresso all’interno delle aziende (ad esempio con i primi robot nella catena di montaggio) ebbero un impatto disastroso sul sistema democratico che ad un certo punto si inceppò. La popolarità dei Governi e la partecipazione degli elettori all’espletamento delle proprie funzioni prettamente democratiche scesero per la prima volta sotto il 90%. Le riforme promesse, come quella sull’alleggerimento della burocrazia e sull’ammodernamento della macchina dello Stato, tardavano ad arrivare e gli scioperi divennero quotidianità.

Erano le conseguenze della prima crisi economica, certo, ma la nostra classe dirigente si trovò impreparata (e squattrinata), impegnata a formare i governi di giorno e a riscuotere le tangenti di notte.

Come si evince da questa lunga digressione, il sistema “Italia” nacque già in crisi, in una crisi di valori e di intenzioni. All’instabilità governativa (in media un governo durava dieci mesi ad esclusione del primo governo de Gasperi e del governo Craxi 1983-1987), dove il partito predominante si divideva le cariche con le varie correnti interne, corrispondeva una corruzione dilagante a livello pubblico e privato. Ovviamente gli uomini politici onesti non mancavano, ma corrotte erano le macchine di partito desiderose di arricchirsi e di riscuotere tangenti dagli imprenditori di aziende pubbliche e private, i quali dovevano pagare sia per vincere l’appalto che per costruire. Un’abitudine che, con la caduta del muro di Berlino e la fine della Guerra fredda, divenne insostenibile.

Qui entra in gioco l’inchiesta “Mani Pulite” condotta da Antonio di Pietro e da un pool di magistrati che cercarono di mettere a ferro e fuoco la politica italiana, ridimensionandola. Nel 1992, quindi, il sistema “Italia” della Prima Repubblica, colluso con tangenti, mafia e corruzione, ebbe la possibilità di mutare. Gli anni ’90 furono un periodo pieno di cambiamenti, dalla trasformazione dell’Europa in “unione politica” nel 1992 alla decisione di adottare una moneta unica verso la fine degli stessi. Il mondo stava cambiando e l’Italia aveva la necessità di adeguarsi per non rimanere indietro. Le riforme del sistema pubblico tardavano ad arrivare, mentre sulla scena politica si affacciavano nuovi partiti come “La Rete”, “La Lega Nord” e “Forza Italia” con i propri leader che agivano da “agitatori dell’opinione pubblica”. 

Il sistema della Prima Repubblica, formato da DC, PSI, PCI si sgretolò. Infatti, alle elezioni del 1992 la Democrazia Cristiana prese il suo minimo storico e si dissolse successivamente, il Partito Comunista, invece, cambiò nome diventato Partito Democratico della Sinistra. Il vento era cambiato e i presupposti per una riforma radicale del sistema politico erano presenti.

Nel 1994, il Polo delle Libertà trionfò alle elezioni ma i successivi capovolgimenti portarono ad un Governo di sinistra e ad un Parlamento che non perse le vecchie abitudini. Nel 1993, tramite referendum, il finanziamento pubblico venne abrogato, però, il rimborso per “le spese elettorali” rimase. Infatti nello stesso anno del referendum, i partiti politici, abrogato il finanziamento, ricorsero con lo stesso fine al rimborso, aggiornando la legge vigente e dandole una “dilatazione semantica” (i contributi diventano volontari).

Tra 1999 e gli anni duemila arrivò la definitiva dimostrazione che davvero poco era cambiato all’interno del sistema. Infatti nello stesso anno venne reintrodotto in toto il finanziamento pubblico dei partiti abrogando le leggi degli anni ’90 sui rimborsi. Questo, inoltre, fu esteso a tutti i tipi di manifestazione: dai referendum alle elezioni europee. Un’erogazione del finanziamento “a legislatura” a cui si collegò anche una contribuzione volontaria (4×1000). Negli anni duemila, invece, il finanziamento, convertito in euro, raddoppiò miracolosamente (il precedente “tasso di cambio” era di 4000 lire a voto) legandogli un meccanismo che divideva la distribuzione dello stesso per anno e non più per l’intera legislatura. Si passò, con questo stratagemma, da 190 milioni di euro a quasi mezzo miliardo…

Nel 2006, con una legge di conversione dei tanti “decreti milleproroghe” venne confermato che i partiti dovevano ricevere il rimborso indipendentemente dalla durata della legislatura. Così, con la caduta del Governo Prodi nel 2008 e la formazione del Governo Berlusconi nello stesso anno i partiti politici italiani partecipanti e aventi diritto (il quorum per ricevere il rimborso era all’1%) ricevettero ben due rimborsi: quello del governo caduto e quello del governo neoeletto. La legge che eliminerà questa porcata arriverà troppo tardi, nel 2010 quando c’era un disperato bisogno di moneta per far fronte alla crisi economica. Però nel frattempo per ben 4 anni le formazioni politiche presenti in Parlamento ricevettero una somma vicina al mezzo miliardo di euro.

Solo con le riforme di Mario Monti e di Enrico Letta il finanziamento pubblico verrà prima ridotto e regolarizzato (con Monti) ed eliminato del tutto (con Letta). Ma ciò è stato ed è soltanto un piccolo passo verso la riforma di quel sistema che, nonostante “l’anno 0” (Mani Pulite) è rimasto corrotto, sporco e scorretto. Il Parlamento, rinnovato nel 2013 con una legge elettorale tacciata di incostituzionalità, nonostante la tanto decantata “aria di onestà” portata dal Movimento Cinque Stelle, non ha dato quello scossone al sistema che si incaricava di riformare. Infatti, le priorità assolute che erano quelle di stabilire una definizione organica di partito così da rendere pubbliche le sue attività, la riforma di un sistema elettorale incapace di aiutare il Parlamento a fornire una solida maggioranza di Governo e la riforma costituzionale, non sono entrate nel calendario dei lavori del Parlamento o sono state poste in fondo ad esso come simbolo del fallimento del sistema Italia che vuole discutere, vuole apparire limpido ma che in fondo ha rinunciato alla sua buonafede…

Questo è il sistema che la Lega e il Movimento Cinque Stelle hanno ereditato, molti interpreti illustri di questo grottesco film che vi ho raccontato sono ancora seduti su alcune di quelle 945 poltrone che compongono il nostro Parlamento a mo’ di trofeo per aver reso l’Italia un Paese migliore. E con il PD ai minimi storici, senza un leader e senza una ragione sociale che possa minimamente accostarsi agli ideali per cui ha ereditato le spoglie del PCI, sembrerebbe che Di Maio o Salvini governeranno per trent’anni.

Per la prima volta, però, al Governo ci sono due di quelle forze che vengono definite “anti-sistema”, alcuni li chiamano movimenti e non partiti, così da differenziare la loro ragione sociale diversa, io, invece, riportando una “definizione scolastica”  li definirei innanzitutto partiti “pigliatutto” per il semplice fatto che prendono voti uscenti da destra e sinistra e poi, aggiungerei un’apposizione meno scolastica ma che rende meglio l’idea della loro attuale collocazione nello scacchiere italiano: partiti antisistema nel sistema. 

  • Perché un movimento, se entra in Parlamento, di norma diventa partito.
  • Perché per ora, sono immersi nello stesso sistema “Italia” in cui ci trovavamo nel 2013.

Quindi, il sistema, pressoché identico con ancora alcuni degli interpreti seduti in Parlamento, nelle varie regioni e nei vari uffici pubblici “in punizione” (o per sparire finché non si calmeranno le acque), si ritrova al suo interno due partiti che vorrebbero riformarlo.

E’ ancora presto per capire se il nuovo Governo riuscirà nei suoi intenti perché per ora il sistema è sempre lo stesso: sporco e corrotto (arresti di politici quasi all’ordine del giorno, indagini su aziende pubbliche, inadempienze).

Il sistema “Italia”, dal 1948 è, dunque, stato caratterizzato da una doppia vita: quella dei proclami di una nuova Repubblica democratica e limpida come le acque di un torrente, per accaparrasi i voti di coloro che usciti dal Fascismo volevano libertà e trasparenza; l’altra vita, però, è quella delle attività interne di partito, illecite e sporche, quella dello scandalo Lockeed, di Gladio e di Tangentopoli. Quest’ultima vita, nascosta ai più e venuta fuori solo con l’inchiesta della Procura di Milano suddetta, ha caratterizzato il nostro Paese e continua ancora oggi, con alcuni degli interpreti seduti in Parlamento, a scrivere pagine a tema tricolore.

Le speranze, come ogni cinque anni, sono riposte all’interno della volontà dei neoeletti di dare il meglio per risollevare le sorti dell’Italia e dei suoi abitanti, stanchi di questo malaffare dilagante all’interno di quella che dovrebbe essere un’arte, l’arte di governare.

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