La crisi del dibattito politico italiano tra inganno e promessa

Lo scontro tra Matteo Renzi e Matteo Salvini, martedì sera, durante la nota trasmissione televisiva “Porta a Porta” condotta da Bruno Vespa ha dato modo agli italiani di osservare attentamente due tra i massimi esponenti della nuova politica italica. Da un lato Salvini, abile comunicatore, ex Ministro dell’Interno e leader di un partito che nel giro di 365 giorni è stato capace di registrare un exploit incredibile. Dall’altro lato della barricata, invece, c’era Matteo Renzi, ex Premier, oratore niente male e a capo di una nuova formazione di stampo centrista.

Lo scontro è stato acceso, fatto di frecciatine, risatine e soprattutto da riferimenti continui a social network , entrati ormai nell’uso comune politico italiano. Dal punto di vista degli argomenti non c’è stata storia: Renzi è riuscito a contestare qualsiasi dato, qualsiasi informazione riportata da un Matteo Salvini nervoso, a tratti senza parole se non qualche slogan e il ripetuto “ma lui è un genio incompreso”. Il dibattito ha poi virato sui numeri, sulle percentuali, sul “io ho fatto e tu no”. Di veramente costruttivo c’è stato poco. Se dovessimo analizzare minuziosamente ciò che è stato detto in 30 minuti di acceso botta e risposta, sarebbero ben pochi gli argomenti di interesse pubblico. Soprattutto se si parla di futuro.

Lo scontro tra i due leader, più televisivi che di partito, però è servito a ribadire, come se ce ne fosse ancora bisogno, il trend discendente intrapreso dalla politica italiana. L’assenza di contenuti, il trasformismo acuto, il personalismo nella sua forma più bassa, l’insulto, l’etichetta e, da qualche anno, la propaganda social. Sono queste le armi a disposizione della nuova classe dirigente italiana? Dove sono finiti i dibattiti costruttivi, le tribune, la galanteria, l’eleganza, lo stile, la cultura e soprattutto il rispetto del pluralismo? “I meno galanti” saprebbero cosa rispondere…

Inoltre, appare ancor più preoccupante la totale assenza di un programma politico vero e proprio da parte delle forze politiche che di volta in volta si scontrano. A questi sono stati sostituiti le accuse, rivolte verso chi ha governato precedentemente. In poche parole non c’è più il “faremo” ma il “quelli di prima hanno fatto…(male)”. Tanto per dirne una, la Lega alle trionfali elezioni europee del 26 maggio fu l’unica forza politica del Paese a presentarsi senza un programma consultabile. Matteo Salvini si presentò con una serie di slogan del tipo “cambieremo l’Europa”. Come però? Non si sa.

Ma Salvini è solo l’esempio, il capro espiatorio di un’intera classe dirigente che da un lato grida allo scandalo del sovranismo e del populismo più basso, ma dall’altro è a pari merito responsabile dell’insorgenza di queste nuove strane forme del fare politica.

L’ascesa di Berlusconi e il pre-populismo italiano

Come può far intuire il titolo, l’origine di quanto stiamo vivendo oggi non ha radici molto antiche, seppur qualche traccia la si può tranquillamente rinvenire anche negli anni precedenti. Però la maggior parte delle evidenze le si possono rinvenire con l’ascesa in campo dell’ex Cavaliere del Lavoro Silvio Berlusconi.

L’immortale imprenditore milanese, reo di aver fondato il “centrodestra italiano” sfruttò perfettamente l’occasione offertagli dallo scandalo di Mani Pulite per fondare un partito, nel giro di pochi mesi, e vincere le elezioni sbaragliando ciò che restava della Democrazia Cristiana e soprattutto degli eredi del Partito Comunista Italiano, i Ds. La vittoria del centrodestra, formato anche da Lega (Nord) e Alleanza Nazionale (composto dai reduci del Movimento Sociale Italiano), fu così eclatante che i commentatori si domandarono come Berlusconi fosse riuscito a dar vita ad un partito, Forza Italia, nel giro di pochi mesi, presentarsi e vincere. Comunque sia, ciò che interessa ai fini di questa discussione è il dibattito politico che da quella campagna elettorale cambiò totalmente.

L’occasione fu, come detto, lo scandalo delle tangenti. Forza Italia e Berlusconi attaccarono violentemente la vecchia classe dirigente rea di aver frodato gli italiani per decenni. La campagna elettorale fu davvero accesa e sicuramente favorevole ai nuovi partiti che rivendicavano la guida del Paese, poiché nuovi e puri. Non solo Forza Italia e la Lega, all’interno del dibattito politico si inserì anche la Rete.

Comunque sia, come di solito accade nel nostro Paese, il rinnovo si ferma sempre a metà. I partiti sembravano nuovi, gli interpreti sempre gli stessi. Gran parte della vecchia classe dirigente confluì in alcune delle nuove formazioni, altri si ricandidarono e riottennero il seggio.

Il dibattito si inasprì sempre di più anche a causa del clima politico che si innescò in seguito delle indagini della magistratura che diedero luogo a una serie di arresti e autorizzazioni a procedere nei confronti di alcuni tra i più influenti politici del nostro Paese. Il tifo da stadio, in politica, può essere fatto risalire a questi anni (“vai Di Pietro sei tutti noi”). Gli italiani erano delusi, la politica aveva tradito e i partiti tradizionali non potevano più guidare il Paese. In questo clima si colloca la campagna elettorale del 1994. Berlusconi giocò molto sulla sua esperienza imprenditoriale, sul clima politico e sull’aggressione verbale dei suoi rivali politici. Per lui la priorità era impedire la vittoria dei comunisti ma anche quella di ergersi a sostenitore di un’Italia diversa, nuova, lontana dai politicanti primo-repubblicani che parlavano una lingua che il popolo non poteva più comprendere e sopportare.

Purtroppo molti degli interpreti di quella scialba politica in giacca e cravatta, i collusi e soprattutto i “trombati” dagli elettori, continueranno a occupare gli scranni parlamentari e a partecipare attivamente all’attività politica del Paese. Un inganno, il quale si ingigantirà con la vicenda dei rimborsi parlamentari: abrogati dal referendum e riportati in vita dall’ingordigia parlamentare italiana qualche anno dopo.

Ecco che il dibattito politico italiano si “pre-populizzò”. Al centro della scena non ci sono più le manovre, le riforme, le leggi bensì l’ingiuria nei confronti dei rivali o di coloro che avevano governato precedentemente. I germi del populismo italiano si collocano proprio nel 1994. Non contava più cosa si diceva ma il “come” e “chi lo diceva“. Un esempio per comprendere meglio quello che si sta dicendo può essere fatto facendo riferimento alle candidature della Margherita nelle elezioni di inizio secolo: Rutelli venne preferito ad Amato perché più appetibile agi elettori.

Il berlusconismo, diventata una vera e propria corrente politica, può essere assimilato a una forma di populismo la quale condizionò in modo evidente la vita del Paese per almeno vent’anni. Un linguaggio chiaro, lontano dal politichese, esperienza imprenditoriale, sincero atlantismo, convinto europeismo e soprattutto un tono deciso e aggressivo. Con questi strumenti Silvio Berlusconi ha governato in pace e serenità l’Italia e gli italiani.

Tutte le campagne elettorali successive furono influenzate dalla sua figura. In particolare la sinistra, incapace di rispondere con uomini altrettanto carismatici, si cristallizzò attorno alla demonizzazione della figura del Cavaliere, credendo così di poter attirare gli altri suoi rivali politici. Così facendo, invece, si allontanò dalle esigenze del suo elettorato che dapprima decise di non partecipare alle votazioni, poi di rivolgersi verso altri orizzonti.

La sinistra, la lotta al berlusconismo e Matteo Renzi

Come già anticipato le campagne elettorali e il conseguente dibattito politico che ne susseguì si concentrò attorno alla demonizzazione della figura di Silvio Berlusconi. Quest’esigenza fu dettata da due motivi principali: l’assenza di un leader altrettanto carismatico e soprattutto la speranza di poter attirare i detrattori della figura del Cavaliere, insofferenti della sua leadership.

Purtroppo questa battaglia contro il “personaggio” è stata malamente percepita dagli elettori del centrosinistra e, al contrario, si è rivelata un’ottimo argomento elettorale per l’ex Premier. Infatti, basandosi sulla “persecuzione” di politica e magistratura Silvio Berlusconi è riuscito a trionfare in più occasioni proprio a discapito dei suoi detrattori.

Contemporaneamente il centrosinistra, scevro di argomenti e sempre più lontano dalle esigenze del suo elettorato, ha cominciato a perdere colpi. Operai, studenti e coloro che l’erede del Partito Comunista avrebbe dovuto difendere hanno cominciato a disconoscerne il ruolo e soprattutto a prendere le distanze da una forza politicamente incollocabile. Le cose peggioreranno con Matteo Renzi, uomo politico prestato alla sinistra ma che non ne ha mai rappresentato i valori. Solo ora, con Italia Viva, molto probabilmente l’ex Sindaco di Firenze ha trovato la sua dimensione politica.

L’abilità oratoria di Matteo Renzi è fuori discussione. E’ uno dei politici italiani, se non il primo, più preparato da vent’anni a questa parte. E’ relativamente giovane (per la nostra politica), con alle spalle, però, una carriera incredibile. Ancor prima del Movimento Cinque Stelle, l’ex Premier ha spostato l’attenzione del dibattito politico italiano sui social. Il primo vero politico “social” è stato proprio Matteo Renzi che, con il sapiente uso di Twitter è riuscito, per la prima volta nel Paese, a portare la politica sui social.

Più volte considerato l’erede di Berlusconi, con quest’ultimo concluse il celeberrimo patto del Nazareno per far ripartire l’Italia riformando la Costituzione. Un patto che non piacque a gran parte della classe dirigente del PD e a parte dell’elettorato. Dopo la conclusione del suddetto, e il successo alle Europee del 2014, Matteo Renzi acquistò sempre più fiducia arrivando addirittura a porre il referendum del 4 Dicembre 2016 su sé stesso: non era un referendum costituzionale bensì su quanto gli elettori apprezzassero il lavoro di Renzi. L’antipatia maturata si riversò su quel voto dove gli elettori più che sulla riforma, votarono contro l’arroganza dell’ex Sindaco.

Comunque sia, il dibattito politico italiano subì dei radicali cambiamenti grazie proprio all’arroganza, alla sicurezza e soprattutto alla abilità oratoria del Matteo toscano. I suoi monologhi, le sue interviste e soprattutto le sue dirette social spostarono l’attenzione, per la prima volta, l’attenzione sulla potenza comunicativa che i nuovi mezzi potevano offrire, sul modello di quello che Obama fece per la sua campagna elettorale del 2008 (e su ciò che ha fatto Trump qualche anno fa).

Gli italiani riponevano una cieca fiducia nei confronti del Matteo degli 80 euro. La promessa di rimettere in piedi l’Italia rottamando i vecchi fanfaroni conquistò gli elettori che in occasione delle Elezioni europee del 2014 si riversarono alle urne per premiare l’ex Sindaco di Firenze, il quale raggiunse l’apice della sua personalità proprio in quel periodo. La cristallizzazione del dibattito politico attorno alla figura di Renzi, e non a ciò che stava facendo, portò molti sociologi e politologi a discutere attorno ai tratti che lo accomunavano a Berlusconi: abilità oratoria, schiettezza, arroganza e presunzione. Gli stessi chiarirono che il senatore aveva, ed ha, più in comune con il centrodestra che con il Partito Democratico, di cui era leader indiscusso, cacciando e trombando tutti i suoi detrattori o rivali.

Comunque sia l’abolizione dell’art.18, gli scandali bancari e la scarsa attenzione per gli operai, uniti a quanto detto precedentemente, portarono gli elettori a maturare un’antipatia per Renzi e a votare contro di lui il 4 dicembre 2016. Nel frattempo un’altra forza politica stava piano piano conquistando il favore del popolo, dopo il successo alle Politiche del 2013: il Movimento Cinque Stelle.

La promessa grillina e l’exploit della Lega

I grillini, in breve, riuscirono a elevare il dibattito politico italiano sulla scia dell’uso smodato dei social network e soprattutto di internet (Rousseau), comunicando solo attraverso queste piattaforme le loro iniziative. Al contempo, però, questo ha portato delle conseguenze ampiamente prevedibili. Internet è da sempre un posto molto ambiguo, pieno di eccellenze e di scelleratezze, gli individui si adattano a quello che trovano, credono a tutto se non son capaci di distinguere il vero dal falso. Assieme al proliferare di fake news diffuse sui social, un mercato molto redditizio, i cittadini cominciarono con un vero e proprio tifo da stadio, violento, nei confronti della vecchia politica. Un tifo che andava oltre quello di Mani Pulite, più ingiurioso, pericoloso e soprattutto avvezzo al confronto.

Il dibattito politico con i Cinque Stelle subisce una nuova trasformazione, quella definitiva e che stiamo vivendo oggi. Un dibattito aspro fatto di slogan, striscioni, come se fosse un derby. Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno entrambi subito il fascino della politica televisiva berlusconiana, senza ammetterlo ovviamente, e dell’uso sapiente dei social di Matteo Renzi. Inoltre, attraverso un social team Matteo Salvini è riuscito a carpire i problemi di una parte molto volubile degli italiani, quelli che considerano un problema l’immigrato perché straniero ma lodano gli evasori, perché furbi e “dritti”.

I pentastellati seguendo un pò la schiettezza di Beppe Grillo, hanno cercato di implementare in Italia un modello di democrazia diretta che si è imbastardita con quella rappresentativa. La politica ha il suo fascino e le esigenze elettorali hanno prevalso sulle idee. Ad esempio, gli ultimi giorni hanno visto il capo politico grillino contestare il contenuto della legge di bilancio, in particolare il punto sull’evasione fiscale, adducendo scuse facenti capo alla “criminalizzazione” delle categorie professionali: “non è il piccolo che evade sono le multinazionali”, dimenticando che 100 piccoli evasori un rappresenterebbero un problema di proporzioni simili.

La promessa grillina è stata tradita dall’inganno della fascinazione del potere. Di Maio sa’ che la ragion elettorale vale più di quella di Stato, così come lo sanno Renzi e Salvini. Strizzare l’occhio ad una “categoria professionale” che in Italia rappresenta un bacino di voti molto ampio, è un modo per sopravvivere. Si sa, in politica conta più sopravvivere che vivere.

Al contempo Matteo Salvini continua a battere il ferro finché è caldo. Ha spostato il livello del dibattito politico sulla violenza verbale, sulla schiettezza e soprattutto sui temi più dibattuti dagli italiani mentre sorseggiano uno spritz al bar. Non sono argomenti propriamente politici bensì popolari, bassi, iniqui. Il suo team di social manager, formato da più di 1000 persone (si dice), continua a lavorare, spulciando le tendenze su Twitter, Facebook e Instagram e a scrivere proprio su ciò che si parla, rimanendo sempre sul pezzo.

E’ questo il livello raggiunto dal dibattito italiano: parlare delle tendenze sui social e non dei veri problemi.

Il declino italiano si può leggere anche in quest’ultima frase, breve ma emblematica. La politica è riuscita a tracciare un solco invalicabile tra elettori e cittadini, i quali si sentono rinfrancati solo se questa ripete ciò che si voglio sentir dire. Non importa cosa. A rappresentare un problema ancora più grande è la tendenza alla disinformazione. Il tifo da stadio ha portato gli italiani a non informarsi su ciò che gli succede attorno, dando tutto per scontato. “E’ un politico? Allora è un ladro”. I social da strumento di informazione, sono diventato uno strumento di reclutamento. Con la promessa di avvicinarsi all’elettorato, il politico (o il social manager) twitta secondo le “sue esigenze” e inganna l’elettore. Semplicisticamente è questo il procedimento.

Tra l’inganno e la promessa…

Sicuramente i social hanno rivestito un grande ruolo nello sviluppo del dibattito politico italiano: uno strumento formidabile al servizio della propaganda, per arrivare direttamente al cuore degli elettori attraverso post efficaci, foto ad effetto e slogan coinvolgenti.

Sarebbe scorretto però, non assegnare un ruolo di primizia anche alla scarsa capacità degli italiani di informarsi, di conoscere il mondo della politica e soprattutto i personaggi che lo abitano. Non è un caso che gli italiani siano uno dei popoli meno informati d’Europa e del mondo, tra i più impressionabili e soprattutto uno dei primi a dare più risalto alla percezione rispetto alla realtà. Una tendenza alla disinformazione che tocca anche la scuola: chiunque si azzardi ad andare controcorrente viene etichettato come saccente, “professorone” e denigrato. Al contrario, è molto più semplice allinearsi al pensiero unico (vedi immigrazione) e ricevere un’acclamazione popolare.

Tra l’inganno e la promessa, gli italiani hanno fatto un eccessivo affidamento sulle capacità della politica di rimediare ai problemi, senza il benché minimo dubbio. Un popolo informato è un popolo pericoloso per le ruberie politiche, al contrario un popolo ignorante si confà alle necessità disoneste.

Le responsabilità di tutto questo sono, come sempre, da dividere a metà tra la politica e i suoi elettori. La prima è rea di aver disinvestito nel settore dell’istruzione e della ricerca. Dalle infrastrutture ai professori: l’istruzione necessita di provvedimenti coraggiosi per rimetterla al pari rispetto ai sistemi europei collaudati. L’eccellenze non mancano, ma non sono sufficienti. Dall’altro lato i cittadini non vogliono informarsi, è incredibile il disinteresse generale, non solo nei confronti della politica. Se gli elettori si informassero di più, la classe dirigente sarebbe sottoposta a una pressione maggiore, simbolo di un maggior controllo.

Le nuove tendenze del dibattito politico

L’exploit della Lega sta a significare che il team dietro Salvini è riuscito nel suo intento. Certamente l’abilità comunicativa del Matteo milanese è notevole, è riuscito a compattare una parte del Paese attorno alla sua figura, attraverso un’abile propaganda studiata a tavolino dai suoi collaboratori. E’ riuscito a dar voce a quella parte di italiani che “grida più forte”, non maggioritaria ma sicuramente più pericolosa. Al contempo, i grillini si son troppo “imborghesiti”, perdendo di vista le esigenze social dei propri elettori, i quali, restii ad informarsi credono ancora nel partito dei giustizialisti a tutti i costi, dei manettari e dell’onestà che, purtroppo, in questa politica non può esistere.

La società è cambiata molto nel corso degli anni e questi cambiamenti si sono riversati all’interno della politica, condizionandone anche il dibattito. La disinformazione ha invaso anche gli ambienti rappresentativi e l’ingiuria, la violenza verbale, talvolta fisica, sono proprio i risultati di tutto questo. Sono lontani i tempi della Tribuna, quelli in cui si faceva anche educazione politica all’università, oppure i leader che si confrontavano sulle reali esigenze del Paese. Però, come anticipato, la politica è figlia della società, degli individui che la compongono, dei tempi che corrono. Quindi le responsabilità di tutto quello che sta accadendo non sono solo dei nostri rappresentanti, anzi…

ildonatello.

ARTICOLI CITATI (FONTI):

informazioneliberablog.com/la-politica-al-tempo-del-web-e-dei-social-network

https://www.ultimavoce.it/come-salvini-e-renzi-hanno-monopolizzato-la-scena-politica-italiana/

informazioneliberablog.com/la-crisi-del-sistema-italia-voci-fuori-dal-coro

https://www.iene.mediaset.it/video/fake-news-aggiornamenti-zuckerberg_539853.shtml

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