La politica al tempo dei social network

La globalizzazione, o mondializzazione, nata come conseguenza dell’intensificarsi degli scambi e dei rapporti commerciali, ha plasmato a propria immagine e somiglianza anche la necessità di stabilire lo scambio culturale e sociale tra i popoli. I social network, sono nati sotto questa impronta, cioè permettere la creazione di una rete, invisibile, in grado di mettere in contatto punti diversi, e lontani, del mondo.

La globalizzazione delle informazioni, ribattezzata così dagli esperti, nel corso degli anni si è evoluta fino ad abbracciare la sfera dei rapporti sociali in senso stretto, come la politica. Infatti, al giorno d’oggi, scorrendo sulla home dei principali social network è possibile rinvenire delle rudimentali notizie provenienti dalle principali testate giornalistiche nazionali, i quali intuendo che il “cartaceo” non andava più di moda, hanno messo su un sito internet e aperto una pagina social per condividere le notizie in tempo reale.

Dalla fruibilità delle notizie alle insidie del web

Al di là del problema di essere in grado di individuare una notizia vera da una falsa (dal Fatto Quotidiano al Fatto Quotidaino è un attimo), sorge anche un quesito relativo all’approfondimento di una notizia. Il web è il luogo adatto per approfondire? Le maggiori testate pubblicano su internet spezzoni di articoli rimandando l’approfondimento al cartaceo o ad un abbonamento digitale. Il lettore, quindi, se non è in grado di sottoscrivere un abbonamento, si rivolgerà altrove incappando probabilmente in siti poco affidabili e dalla dubbia buonafede.

Non mancano i risvolti positivi. Questi vanno dalla fruibilità della notizia, infatti basta una piccola ricerca su google per trovare quello che si cerca, alla condivisione in massa della stessa. Per i giornali, è molto più semplice diffondere una notizia sul web, la quale può raggiungere milioni di persone nel giro di pochi minuti. Anche il lettore, con altrettanta facilità può raggiungere una notizia in tempo reale con una semplice ricerca, la può condividere e commentare, facendo sapere a tutti ciò che pensa.

Dall’altro lato, però, a seguito del declino dell’informazione cartacea, conseguentemente alla diffusione dell’informazione digitalizzata, i giornali si son dovuti adeguare per contenere i costi, licenziando i dipendenti “in esubero” e dunque, abbassando la qualità dell’informazione stessa. Per esempio, in Italia, latitano gli inviati all’estero. E’ molto più conveniente attingere una notizia da un’agenzia di stampa estera, tradurla e darla in pasto all’ANSA che pagare un inviato in un territorio lontano. Ciò porta, però, ad un calo della professionalità con cui viene trattata un’informazione che, elaborata secondo parametri differenti, ha una resa altrettanto differente. Per esempio, quanto può essere differentemente percepita una notizia sull’immigrazione nel Mediterraneo se questa viene lanciata da un’agenzia di stampa internazionale con sede a Stoccolma?

Oltre questo problema ce n’è sicuramente un altro: la forma di una notizia. E’ giusto considerare un tweet di 300 caratteri come una fonte d’informazione? Un leader politico che trasmette un avvenimento tramite un tweet è da considerarsi affidabile? Sicuramente no. Però, in molti danno credito anche a questa nuova forma di fare informazione.

Tornando ai social, non si può nascondere, che anche l’uso smodato degli stessi abbia portato alla nascita di altri fenomeni di indubbio gusto, come i troll, i quali volontariamente commentano per fomentare l’odio o per disturbare una conversazione sui social network. Questi fenomeni da baraccone, hanno subito un drastico aumento proprio durante la campagna elettorale per le Politiche del 4 Marzo e da allora, Facebook ha dichiarato loro guerra. Però, dati alla mano, secondo lo stesso Zuckerberg per ogni troll eliminato ne nascono contemporaneamente 5.

Qui non si tratta solo di politica, anche nel calcio si sono diffusi in breve tempo questi fomentatori d’odio che per un motivo o per un altro si riuniscono sotto un post per aizzare le folle.

Ma non sono solo i troll ad insultare gratuitamente. Con l’avvento della politica (e non solo) interattiva, sembrerebbe che qualsiasi argomento sia diventato un buon motivo per dar luogo ad una discussione che sfocia in deplorevoli episodi di violenza verbale che non tiene conto del fatto che dall’altro lato dello schermo ci sia un essere umano. La cialtroneria ha preso il sopravvento, latitano i commenti costruttivi di persone che parlano per cognizione di causa, proliferano i vari “rosica, maalox” e un tifo da stadio vergognoso anche sui temi più importanti e delicati.

Il dato che però preoccupa più di tutti è quello relativo al fatto che l’età media di coloro che commenta e fruisce dell’informazione è alta. In poche parole le nuove generazioni paiono sempre più distaccate e poco volenterose di informarsi su ciò che li circonda. Meno informazione significa meno partecipazione consapevole alla vita socio-politica ed economica del Paese. Un problema forse, di cui pagheranno le conseguenze le generazioni politiche del futuro.

L’evoluzione del “fare politica”: dai manifesti ai tweet

Nella Prima Repubblica i partiti, per informare e raccogliere gli elettori, ricorrevano a delle mastodontiche manifestazioni elettorali cui facevano seguito migliaia di manifesti che inducevano il fruitore a fidarsi dei rappresentanti e a votarli. La Democrazia Cristiana, il Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista furono le tre forze politiche che riuscirono, più degli altri, a mettere in piedi un’efficientissima macchina propagandistica in grado di dar luogo a riuscitissime campagne elettorali che raccolsero un consenso gigantesco, ad un costo oneroso.

Negli anni ’80 arrivò la svolta. Per la prima volta in televisione venne trasmesso un messaggio pubblicitario con Craxi protagonista. Il suo breve ma intenso discorso, è, a tutti gli effetti, lo spartiacque tra la politica tradizionale e la politica mass mediatica.

Infatti, dopo la sua esperienza, fece seguito quella di un altro ben più famoso protagonista della scena italiana, Silvio Berlusconi ovviamente. L’ex Cavaliere e più volte Presidente del Consiglio, riuscì a sfruttare efficacemente la televisione come strumento di comunicazione politica di massa per arrivare nelle case di tutti gli italiani. Celeberrimo è il suo video messaggio in occasioni delle Elezioni Politiche del 1994, così come è altrettanto famoso il suo “contratto con gli italiani” presentato 7 anni dopo da Bruno Vespa durante la nota trasmissione di approfondimento politico “Porta a Porta”.

L’imprenditore di Arcore, grazie alla sua dialettica e al suo linguaggio semplice ma diretto, è riuscito ad utilizzare ed ottimizzare al meglio lo strumento televisivo, influenzando generazioni politiche a lui succedute. Ad esempio, dopo la sua discesa in campo, i DS (Democratici di Sinistra, precursori del Partito Democratico attuale) iniziarono a selezionare i propri candidati in base al “profilo del politico nuovo” introdotto dall’ex Cavaliere.

A questo proposito, tempo fa scrissi un articolo che segue passo dopo passo il cambiamento subito dalla politica italiana. Potete trovarlo cliccando qui, oppure in basso.

Il “modello Berlusconi” regnerà sovrano per diversi anni, con risultati alterni e, dopo un certo periodo, prevedibili. La congiunzione economica maturata dalla ben più grande crisi finanziaria mondiale, ha colto l’Italia impreparata e l’ha gettata in un tunnel, buio, da cui non il Paese non è ancora uscito. Gli elettori, ma anche le istituzioni politiche ed economiche mondiali, hanno attribuito al Governo Berlusconi la responsabilità di non aver saputo preparare gli italiani a questo tragico momento e di non aver saputo reagire, attuando le riforme necessarie.

La svolta, l’ennesima, arrivò nel 2013. Oltre ai partiti tradizionali che, giornalmente, si contendevano il potere nel Paese, si presentava anche un movimento del tutto nuovo, estraneo alla politica di professione e formato perlopiù da giovani volenterosi di fare del bene per i propri connazionali. Si tratta, ovviamente, del Movimento Cinque Stelle, il quale si è reso protagonista di un rinnovamento non soltanto politico ma anche mediatico.

Infatti, la campagna elettorale per le Elezioni Politiche del 2013, effettuata da Beppe Grillo, fu una sorta di “propaganda a costo zero”, sottovalutata da molti ma che riuscì, grazie alla verve aggressiva e al contempo condivisibile del noto comico genovese, a riempire il cuore di milioni di elettori delusi che scelsero di appoggiare la causa di questo movimento novus diverso dai cravattari a cui la Seconda Repubblica ci aveva abituato.

“La propaganda è il mezzo con cui la politica riesce a convincere il cittadino, non importa se l’argomento trattato sia giusto o sbagliato, conta, invece, quanto esso sia incisivo, credibile e verosimile”.

Beppe Grillo, seppe appieno sfruttare queste circostanze e, riuscendo a smentire i sondaggisti che davano i pentastellati al 14%, sbancò il botteghino e consegnò al Movimento ben il 25% delle preferenze. Un ottimo risultato che sancì definitivamente la presenza di un terzo polo che solamente 5 anni più tardi riuscirà a salire al potere.

La genesi del Movimento Cinque Stelle a livello nazionale è importante perché ha portato all’introduzione di un nuovo modo di fare politica: la politica interattiva.

Già citata nel paragrafo precedente, questa nuova forma di comunicazione politica, tutto tranne che istituzionale, ha visto la luce proprio grazie ai grillini. Il “blog delle stelle”, infatti, è il punto di riferimento degli elettori del Movimento, i quali s’informano sulle dinamiche di governo (al giorno d’oggi) oppure sull’attività delle opposizioni. Opportunamente rielaborate, le notizie sono profondamente propagandistiche e tendono a denunciare i comportamenti degli altri partiti, certe volte incappando anche in alcune fake news.

Inoltre, i leader del partito sui social comunicano con i loro elettori con una naturalezza che ha fatto sì che il rapporto rappresentate-rappresentato fosse ridisegnato e adottato a modello anche dagli altri capi politici.

Ma l’avvento del Movimento Cinque Stelle, non ha portato, purtroppo, soltanto delle novità positive (secondo i vari punti di vista, ovvio). La digitalizzazione dell’attività politica, condivisibile e ammirabile da vari punti di vista e arrivata in Italia ben 5 anni dopo gli Stati Uniti (Elezioni di Barack Obama, 2008), ha introdotto anche un altro fenomeno, accennato in precedenza: il “tifo da stadio”.

Questo strano quanto pericoloso fenomeno ha preso piede nel nostro Paese a causa della serrata campagna elettorale condotta dal Movimento, dal 2013 e proseguita per tutta la legislatura, contro i partiti tradizionali accusandoli di essere “ladri, truffatori e disonesti”. Un movimento politico ma che fa dell’antipolitica la propria ragione sociale. Un profilo molto debole, a dire il vero, dato che prima o poi gli elettori, o chi per loro, avranno bisogno di nuovi stimoli per prestare la propria voce al partito e non migrare verso altri lidi più appetibili.

La comunicazione dei grillini ripercorre, a dire il vero, la genesi del populismo in salsa italiana. Il primo ad adoperare delle tecniche basate sullo scontro sociale fu Silvio Berlusconi, nel 1994, il quale fece precedere la sua discesa in campo a una serie di messaggi politici accusatori nei confronti della vecchia classe dirigente, coinvolta nel celeberrimo scandalo di Tangentopoli. I toni erano gli stessi, le accuse molto simili a quelle odierne. E oggi, come allora, gli elettori reagiscono alla stessa maniera. In un periodo in cui le tecniche comunicative si evolvono, la psicologia dell’individuo resta pressoché simile, rispondente agli stessi stimoli del passato.

Gli italiani, a quel tempo, facevano il tifo per i magistrati scendendo in piazza con cori e striscioni come se si trattasse di una partita di calcio. Berlusconi riuscì a sfruttare alla perfezione il momento storico per montare su una campagna elettorale basata sostanzialmente sul dissenso verso quel sistema marcio e corrotto emerso dalle inchieste. Dal punto di vista mediatico, poi, come già sottolineato, le televisioni dell’ex Presidente fecero il resto. Il ruolo delle tv è stato oggi rilevato dai social media, molto più efficaci per l’immenso engagement sulla società civile.

Mani Pulite Striscione
                Un esempio del sostegno popolare alle inchieste di Mani Pulite (Fonte immagine Linkiesta)

Mettendo da parte la televisione, possiamo osservare come la digitalizzazione dell’informazione, politica soprattutto, sia un fenomeno globale. Dal 2008, cioè dalla vittoria di Barack Obama, un leader che ha fatto dei social un punto focale della sua campagna elettorale, a Donald Trump che è riuscito addirittura a vincere le Elezioni per la Casa Bianca spendendo la metà del suo avversario. Fino ad arrivare a Jair Bolsonaro, neo-presidente del Brasile che, tramite un utilizzo smodato dei social è riuscito a raccogliere un consenso a livelli “salviniani”. Il trionfo della comunicazione politica digitale, ormai, è globale.

I politici, preferiscono interloquire con i propri elettori in modo veloce e diretto, racchiudendo il proprio pensiero in un posto di Facebook o, più spesso, in 300 caratteri su Twitter, dicendo poco quanto nulla ma il necessario per raccogliere consenso. Dal comizio al messaggio televisivo fino al tweet: la comunicazione politica si è fatta più rapida, immediata ma al contempo approssimativa e fallibile. 

La nuova forma del “leader del popolo”

Se nel passato si poteva definire “leader del popolo” un uomo che proveniva dai “bassifondi” della società e che viveva in mezzo alla gente, al giorno d’oggi per essere definito in tal senso, basta avere al proprio fianco un social media manager, il quale si preoccuperà di curare la nostra immagine mediatica permettendoci così di poter apparire il più “casereccio” possibile di fronte ai nostri elettori.

Per essere votati, occorre dover sembrare “appetibili” dal punto di vista mediatico.

Lo comprese anche l’ex Presidente della Repubblica francese, Sarkozy, il quale fece curare la sua immagine ad un media manager che gli suggeriva volta per volta come comportasi in pubblico e come presentarsi agli elettori.

La figura del manager d’immagine, entrata prepotentemente nello scenario politico mondiale, è diventata di fondamentale importanza soprattutto per coloro che, volendosi candidare, hanno poca dimestichezza con il mondo dei social. Questo individuo, curerà l’immagine del candidato, trasformando il suo profilo e modellandolo a seconda delle esigenze.

In Italia abbiamo il più fulgido esempio di “nuovo” leader del popolo: Matteo Salvini.

Surclassato Renzi, precursore poco noto della politica interattiva ma interrotto sul più bello (anche sui social) il capo politico della Lega e Ministro dell’Interno gode, oltre che di una certa dose di carisma, anche di un profilo social degno di nota, il più “grande” dell’intero panorama politico italiano. Con più di tre milioni di follower, Matteo Salvini è il parlamentare più seguito, cliccato e linkato dell’intero Paese.

I suoi post, però, nel corso del tempo hanno suscitato una certa ilarità da parte dei concorrenti che, forse giustamente, lo hanno additato più come un “influencer” che come un politico vero e proprio. Questi individui dimenticano che, dietro Matteo Salvini, esiste un social media team (SMM), che cura la sua immagine a la rende appetibile al suo elettorato che ogni giorno si riversa sui social in cerca dell’uomo da cui si sentono rappresentati. La foto con “pane e nutella”, ad esempio, di primo acchito potrebbe suscitare un ghigno divertito, ma risponde ad una precisa strategia di farsi identificare come un uomo comune che durante un momento di pausa non rinuncia a mangiare come le persone comuni. Inoltre, condividere questi momenti “leggeri” della giornata, risponde anch’esso ad una precisa strategia mediatica ed elettorale.

Trasformare un politico in un brand, poiché le strategie di cui parliamo sono assimilabili alle campagne di marketing, è ciò di cui si occupano questi manager d’immagine. Così come un prodotto deve essere appetibile al pubblico per essere acquistato, così un politico deve piacere al pubblico per essere votato. Una strategia che trasforma profondamente la politica, la quale passa da nobile arte del saper governare per raggiungere il bene comune, a “non nobile arte” del saper vendere un’immagine.

Da ciò deriva la nuova forma del leader del popolo che non è più colui in grado di scendere in piazza tra gli operai e le persone qualunque, a protestare e impegnarsi per un futuro migliore, ma è colui in grado di saper meglio gestire la propria immagine sui social e venderla ai propri elettori, i quali, affascinati dalla semplicità di un uomo che “vive come noi”, lo votano.

Una trasformazione assai nociva, non solo per aver assimilato la politica ad una scialba attività di marketing, ma anche perché di quanto sta accadendo ne risentono soprattutto i temi della politica. Essere appetibili, significa anche dire ciò che il popolo vuole sentire, e non è detto che ciò che il popolo voglia sentire sia sempre giusto.

La propaganda con fini di lucro, unita alla vendita di un’immagine falsa è un cocktail esplosivo e nocivo, che potrà avere delle conseguenza catastrofiche.

Per dovere di cronaca, seguono dietro Salvini, per numero di follower, Luigi Di Maio e Giorgia Meloni. La presenza dei due leader del centrodestra, unita alla storia dello sviluppo internazionale della comunicazione politica digitale, fa saltare all’occhio come questo nuovo modo di far politica sia diventato una prerogativa della destra. La sinistra, invece, nelle persone di Renzi e Nicola Zingaretti sono ben lontani dalla vetta, forse anche a causa dello scarso credito elettorale di cui la sinistra italiana sta godendo.

La comunicazione digitale e il futuro del Paese

Sicuramente, la comunicazione politica digitale non può avere soltanto dei risvolti negativi. Positivo è il confronto tra un leader di partito e la sua base elettorale, così come sono positive la trasparenza e l’autenticità (messa in discussione, però, dalla figura del media manager).

Però, e qui sorge un grande dubbio, stando a quanto detto nel paragrafo precedente, quale futuro può avere un modo di fare politica gestito a tavolino da un perfetto sconosciuto che modifica il profilo di un politico, nascondendo la sua vera identità (che non necessariamente è negativa, ma potrebbe essere sicuramente meno “limpida” e competente) a coloro che devono votarlo? Un politico, per fare politica nel vero senso del termine, si dovrebbe circondare di consiglieri fidati che lo seguano nei luoghi del bisogno, in mezzo alle persone in difficoltà.

Occorrono, riprendendo uno slogan proprio di questo Governo, più fatti e meno parole. Così come per il calcio, occorre che i politici passino meno tempo sui social e più tempo negli uffici o in mezzo alla gente, non solo in campagna elettorale.

Il futuro del Paese non dipende da quanti follower Salvini, Renzi o Di Maio siano in grado di guadagnare e nemmeno da quanti ne riescano ad attirare per “motivi di voto”. Il futuro dell’Italia dipende da quanta competenza e buonsenso i suddetti politici siano in possesso e soprattutto da quanta voglia loro abbiano di lavorare per il bene dello Stato e dei suoi cittadini.

ildontallo

Articoli citati (fonti):

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