“Manifesti cinesi” – Pillole di storia

Sono in molti i commentatori che fanno risalire l’inizio della strategia della tensione, cioè quel disegno politico di estrema destra mirante al sovvertimento delle istituzioni democratiche, a poco prima del 1969, cioè a quell’autunno caldo culminante nella prima grande strage della Repubblica Italiana, cioè quella di Piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 1969. In realtà, grazie agli studi condotti in tempi più o meno recenti, è possibile far risalire le tensioni già all’inizio degli anni ’60, con i primi disegni anti-comunisti compiuti dai servizi segreti e dall’estrema destra italiana.

In particolare, è possibile cogliere questi aspetti in una relazione riservata, rimasta coperta dal segreto di stato per decenni, almeno fino agli inizi degli anni ’80 con il processo per Piazza della Loggia, redatta il 12 settembre del 1963 dal colonnello Renzo Rocca, allora responsabile dell’Ufficio REI del SIFAR, il servizio segreto militare, e inviata all’allora capo del Reparto D (controspionaggio) dello stesso servizio, il generale Giovanni Allavena (iscritto alla P2 di Licio Gelli). Tale relazione parlava dei modi migliori attraverso cui condurre una efficiente e seria azione contro i comunisti in Italia:

“Bisogna creare gruppi di attivisti, di giovani, di squadre che possono usare tutti i sistemi, anche quelli non ortodossi, della intimidazione, della minaccia, del ricatto, della lotta di piazza, dell’assalto, del sabotaggio, del terrorismo”.

Insomma, per sconfiggere i comunisti non bisognava giocare “in difesa” ma attaccare, utilizzando strumenti (uomini e azioni) che conoscevano bene i principi della “guerra psicologica, guerra non ortodossa, della lotta clandestina, delle tattiche di disturbo e della tecnica della provocazione“. Bisognava, quindi, fare riferimento a quei gruppi in grado di confondersi con la folla e praticare tecniche da guerra clandestina. Inoltre, questi individui dovevano essere pronti a tutto e soprattutto dovevano essere guidati dall’odio e dall’ideologia. In sostanza, per il servizio era legittimo ricorrere al terrorismo ed era legittimo servirsi anche dei fascisti per fermare l’opposizione di sinistra.

In quest’ottica è possibile altresì collocare la nascita di Avanguardia Nazionale, fondata negli anni ’60 e inserita nel contesto del Centro Studi Ordine Nuovo di Pino Rauti. Nello specifico, il movimento fu fondato da Stefano Delle Chiaie, dopo essere fuoriuscito con alcuni altri dal Movimento Sociale Italiano, quest’ultimo colpevole di agire troppo all’interno delle istituzioni democratiche. Delle Chiaie, in polemica con i dirigenti del movimento, fondò nel 1958 i Gruppi Armati Rivoluzionari, i quali non svolsero alcuna attività militare, proclamandosi per l’astensionismo. Il distacco da Pino Rauti avvenne nel 1959, quando venne fondata Avanguardia Nazionale.

Nel 1964 Delle Chiaie fu contattato dal generale Giovanni De Lorenzo per partecipare al primo colpo di stato della storia della Repubblica (poi fallito), il Piano Solo. Il golpe nacque in contrapposizione alla partecipazione dei socialisti al governo Moro del 1963, malvista dalla borghesia e dall’establishment italiano, fortemente anti-comunista e anti-socialista. Delle Chiaie “rifiutò l’invito”, insospettito dalla richiesta. L’anno successivo il movimento, finito nell’occhio del ciclone delle indagini della polizia, si sciolse e i suoi membri confluirono in altre organizzazioni di estrema destra.

Qui si arriva al punto della pillola. Avanguardia Nazionale era coinvolta in rapporti con la polizia e con l’Ufficio Affari Riservati diretto dalla “spia italiana per eccellenza”, Federico Umberto D’Amato. All’interno di questo ufficio e con la complicità degli avanguardisti nacque l’operazione “manifesti cinesi“. A dispetto del nome, si trattava di affiggere manifesti che proclamavano la nascita di organizzazioni filo-maoiste o filo-sovietiche, scisse dal Partito Comunista Italiano, e che annunciavano una campagna rivoluzionaria in tutto il Paese.

La realtà, invece, fu molto diversa. Furono i militanti di Avanguardia Nazionale che li affissero in diverse città (Roma, Milano, Mestre, Venezia e Padova) su ordine dello stesso Delle Chiaie, il quale a sua volta aveva ricevuto mandato dal direttore de “Il Borghese Mario Tedeschi, senatore del Movimento Sociale che riceveva soldi dalla CIA. Al vertice dell’operazione, come detto, c’era Federico Umberto D’Amato e il suo Ufficio Affari Riservati.

In cosa consisteva questa operazione? Manifesti cinesi aveva l’obiettivo di mettere in difficoltà il Partito Comunista e di spaventare la popolazione in relazione alla minaccia comunista, intravista un po’ ovunque, soprattutto negli ambienti borghesi. Nello specifico, i primi campanelli d’allarme arrivarono a causa dell’ingresso dei socialisti nel governo Moro, tanto che subito fu approntato un colpo di stato (il Piano Solo, 1964) che, seppur fallito, servì a rivedere i piani del democristiano e di Pietro Nenni. Spaventava altresì la crescita del Partito Comunista e il suo ascendente sugli operai, i quali continuavano a scioperare nelle fabbriche al grido di “Agnelli, l’Indocina ce l’hai nell’officina“. Inoltre, bisogna ricordare che in quegli anni, assieme a quelle fasciste, nascevano organizzazioni extraparlamentare di sinistra come Potere Operaio e Lotta Continua.

Gli scontri di piazza con la polizia, poi, in quegli anni, erano diventati quotidianità. Una polizia, bisogna aggiungere, piena di elementi che operarono sotto il regime fascista e che, di conseguenza, non aveva mai eseguito epurazioni. Un esempio, a questo proposito, potrebbe rivelarsi utile. Il questore di Milano, Marcello Guida, che guidò le indagini su Piazza Fontana, sotto il Fascismo fu il direttore del carcere di Ventotene, lo stesso dove fu rinchiuso il futuro Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Infatti i due si conoscevano.

Di questo contesto pieno di terrore, violenza e contestazione che preoccupava non solo la borghesia ma anche l’italiano comune, la destra missina chiedeva misure straordinarie per l’ordine pubblico – possibilmente attraverso l’assunzione di responsabilità politiche da parte dei militari, filo-fascisti – mentre quella reazionaria e stragista trovò l’appiglio giusto per farsi sentire e spingere l’acceleratore sulla lotta senza quartiere per sovvertire le istituzioni democratiche, colpevoli di non garantire quell’ordine e quella tranquillità che c’erano fino a vent’anni prima, cioè quando “non c’erano i comunisti”. Ai vertici dei servizi, tra chi auspicava il ritorno al partito unico e chi preferiva una democrazia imperfetta senza il PCI, c’erano degli uomini che ricorrevano alla manovalanza fascista ma senza alcuna intenzione di tipo politico.

E in questo contesto, confuso e violento, si inserisce la poco nota operazione “manifesti cinesi”.

Pillola di storia a cura di Donatello D’Andrea

Fonte immagine: Grossetocontemporanea

Fonti per approfondire:

Fascicolo n. 1962-2-21-32 intestato: “Aspetti dell’azione anticomunista in Italia e suggerimenti per attuare una politica anticomunista”

Mirco Dondi: L’eco del boato. Storia della strategia della tensione (1964-1974)

Matteo Albanese: Piazza Fontana

Articolo di Grossetocontemporanea, una lettura per avere un’idea generale di quanto raccontato.

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