Come venne speso il Piano Marshall italiano – Pillole di Storia

Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Europa si presentava come un continente completamente distrutto dagli orrori di un conflitto fratricida che aveva messo in ginocchio la società, l’economia e la politica dei diversi Paesi. Una ricostruzione autonoma avrebbe richiesto tempo e soprattutto denaro, il quale scarseggiava nelle casse degli ex belligeranti e che, in caso contrario, si sarebbe rivelato comunque inutile viste le assenti capacità di stamparne di nuovo e di strapparlo dalle grinfie dell’inflazione o dall’assenza di valore legale.

Dal canto loro, gli Stati Uniti, una delle due superpotenze uscite vittoriose dal grande conflitto, avevano la necessità di impedire che l’Unione Sovietica estendesse le sue grinfie anche in Europa occidentale, asset strategico per il controllo del Mediterraneo e mercato succulento in cui piazzare i propri prodotti. Nacque così il Piano Marshall (o European Recovery Program), dal nome del segretario di Stato statunitense George Marshall, il quale ammontava a circa 12 miliardi di dollari – un’enormità per quei tempi. Fu lanciato nel 1947 e durò per ben 4 anni.

Ogni Paese aveva delle linee guida da rispettare nei rispettivi investimenti e tutti beneficiarono in modo diverso dei fondi. L’Italia usufruì di una fetta importante del piano: 11,7 milioni di dollari (dollari odierni), divisi in 10,9 milioni di aiuti e 0,7 di prestiti. In quattro anni il Piano Marshall destinò il 33% alle materie prime, il 29% agli alimenti e ai fertilizzanti, il 17% alle macchine e ai veicoli, il 16% al carburante e il 5% ad altri prodotti. Il programma terminò ufficialmente nel 1952 ma le erogazioni si interruppero ben prima, nel luglio 1951.

Alcune domande, però, sorgono spontanee: quali furono gli investimenti più cospicui effettuati con il denaro americano? Chi beneficiò maggiormente del Piano Marshall?

Le opere finanziate dal Piano Marshall italiano furono le più disparate. La prima emergenza da gestire, ovviamente, comune ai Paesi usciti da una guerra distruttiva, fu quella abitativa. Molti edifici, pubblici e privati, erano lesionati, al pari delle infrastrutture fondamentali come le linee ferroviarie, quelle elettriche e telefoniche, le strade, i ponti, i porti, gli acquedotti e le fognature. Senza considerare le aziende agricole e le imprese. Nel giro di qualche anno vennero aperti numerosi cantieri, sui quali poteva leggersi a caratteri cubitali la sigla dell’European Recovery Program (ERP). Per le abitazioni fu istituito il Piano INA – Casa (Istituto Nazionale Assicurazioni), che prese il nome dal Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale Amintore Fanfani, il quale avviò la costruzione di 75mila abitazioni per gli operai.

Sulle costruzioni finanziate dall’ERP capeggiava un manifesto molto simile a quello riportato in questa immagine (fonte immagine Firstonline.info)

Altri finanziamenti servirono a riparare i vani danneggiati dalle bombe (circa 450mila) e a garantire la costruzione di 300mila case destinate ai ceti medi. Questi potevano accedervi sottoscrivendo mutui trentennali che coprivano il 75% della spesa per l’acquisto, con un interesse annuo intorno al 4%. Esempi di opere costruite in Italia con i fondi americani compaiono la tipografia del Senato, i mercati del pesce e delle carni (come quello di Torino), campi sportivi, convitti e gabinetti pubblici. Bisogna sottolineare con decisione, però, che tra le regioni del Nord e del Sud ci fu una grande sperequazione circa gli investimenti nei singoli settori produttivi.

A livello aziendale, non c’è dubbio che l’impresa che beneficiò maggiormente degli investimenti americani fu la FIAT, alla quale spettò circa un quarto di tutti i fondi elargiti nel rispettivo settore (meccanico e siderurgico). I finanziamenti consentirono all’azienda di Torino di rimettersi in careggiata con la produzione, di costruire e riparare nuovi impianti e di concludere nuove commesse con gli Stati Uniti. La FIAT tornerà a fare utili già dal 1948.

In molti, al giorno d’oggi, discutono circa il reale impatto degli investimenti americani sull’economia italiana e soprattutto sulla ripresa. Bisogna considerare che, almeno a livello europeo, già nel 1948 i tassi di crescita erano tornati molto vicini a quelli pre-bellici. Gli altri problemi, però, persistevano: i deficit delle bilance dei pagamenti restavano molto elevati e la capacità di importare beni indispensabili dipendeva quasi totalmente dagli aiuti in dollari. Il sistema finanziario, inoltre, necessitava di essere stabilizzato. L’ERP, quindi, può essere in sostanza definito come un aiuto importante ed elargito al momento giusto e per la durata giusta. Infatti, l’importanza del Piano Marshall non deve essere ricercata nella quantità del denaro elargito ma nella sua capacità di permettere all’Europa di compiere, grazie alla sua durata, i passi necessari per raggiungere la sua indipendenza economica.

Pillola di storia a cura di Donatello D’Andrea

Fonte immagine: ADL Culture online

Fonti per approfondire:

Il Piano Marshall e l’Italia

La storia del Piano Marshall

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