FCA-Renault: quando la politica italiana conta davvero poco

FCA ha annunciato la fine delle trattative per la fusione con il noto marchio automobilistico francese Renault. Un’operazione da ben 35 miliardi di euro, la quale avrebbe portato alla nascita del terzo gruppo automobilistico mondiale dopo Volkswagen e Toyota, si è invece rivelata un nulla di fatto.

Il motivo per cui tutto è saltato lo ha reso noto l’FCA con un comunicato dove accusava il governo francese di aver mutato le “condizioni politiche” durante l’accordo di fusione. In poche parole il governo francese, detentore del 15% di Renault, ha imposto delle condizioni che si son rivelate sfavorevoli per gli italiani.

Tale decisione è maturata nella notte tra mercoledì e giovedì, dopo che a Londra, sede legale della società si è svolto il consiglio di amministrazione di FCA. Anche Renault, quasi contemporaneamente, si è riunita in consiglio. L’intento era quello di discutere gli ultimi dettagli per chiudere una trattativa data per certa da entrambe le parti, soprattutto dopo che FCA aveva accettato una richiesta onerosa da parte del governo francese: mantenere la sede operativa in territorio francese.

L’azienda torinese, dunque, aveva aderito in qualche modo a tutte le richieste più onerose da parte della politica francese suscitando, al contempo, un certo disaccordo nei confronti del governo italiano, reo di non essere intervenuto nella trattativa.

Perché è saltato tutto?

Invece di approvare la fusione, il consiglio di Renault ha preferito rimandare la decisione all’ennesima riunione in seguito alla richiesta di due membri del cda espressi dal governo. Questa notizia ha convinto gli italiani dell’impossibilità dell’accordo. Successivamente, il Ministero dell’Economia transalpino ha incolpato Nissan della mancata riuscita dell’operazione, poiché le condizioni stabilite dalle due case automobilistiche europee non avrebbero convinto i giapponesi. Nissan e Renault, ormai, sono legate da una ventennale alleanza tecnologico-commerciale e da un incrocio di partecipazioni azionarie, dunque, quando si tratta con l’una, in automatico si coinvolge anche l’altra azienda.

Le “condizioni” del mancato accordo

Il governo francese ha reso pubbliche le quattro condizioni imposte agli italiani al momento della firma dell’accordo FCA-Renault. Tre su quattro erano state soddisfatte (proteggere i posti di lavoro in Francia, creare una struttura di governance equilibrata e garantire investimenti su batterie e auto elettriche). Mancava soltanto la quarta, che alla fine ha fatto saltare il banco: l’assenso di Nissan.

Le più autorevoli testate giornalistiche mondiali, che a lungo hanno parlato di questa importantissima fusione, hanno riportato che l’azienda giapponese sarebbe stata disponibile soltanto ad astenersi. Questo gesto è stato interpretato dai francesi come un campanello d’allarme che avrebbe fatto saltare la ventennale alleanza. Ciò ha spinto Renault (e il governo) a sfilarsi dall’accordo. In molti, però, sospettano che questa sia stato soltanto un pretesto per far saltare l’operazione. Conoscendo i francesi e soprattutto i mutevoli rapporti tra il nostro Paese e quello transalpino (vedi caso Fincantieri), l’ultima ipotesi potrebbe essere più che plausibile.

Un’altra tesi: l’opinione pubblica

Il Sole 24 Ore, il più autorevole giornale economico italiano, è riuscito a produrre un’altra tesi, quella secondo cui l’accordo sarebbe saltato a causa del mutamento dell’opinione pubblica nei confronti dell’operazione. A conferma di quanto detto è opportuno citare un articolo del quotidiano francese Les Echos, il quale aveva criticato aspramente il dividendo straordinario di 3 miliardi che sarebbe stato distribuito tra gli azionisti della nuova società in seguito alla fusione. La fetta più grande sarebbe andata alla famiglia Agnelli-Elkann, che con la fusione sarebbe diventato il primo azionista con il 15% delle quote.

L’accordo FCA-Renault quindi, avrebbe portato ai vertici della nuova società una famiglia italiana. Ciò, dunque, stando alla tesi riportata dal Sole 24 Ore, avrebbe prodotto un’ondata nazionalistica che avrebbe profondamente mutato l’opinione pubblica e, di conseguenza, il suo giudizio sull’accordo.

Più che una tesi, però, quella dell’opinione pubblica potrebbe essere ritenuta come la scintilla che ha portato il governo francese ad intervenire per bloccare l’accordo.

Macron e il “suo governo” godono di una bassa popolarità. Nonostante una debole ripresa nel mese di gennaio (32%), qualche settimana fa, l’annuncio di una riforma costituzionale, ha comportato l’ennesima diminuzione del consenso.

E’ molto probabile che l’esecutivo francese di fronte all’ennesimo calo di gradimento, abbia preferito disertare l’accordo FCA-Renault alludendo a un qualche pretesto (come quello riportato nel precedente paragrafo).

L’intervento della politica francese, una sorta di deterrente elettorale, avrebbe avuto il preciso fine di salvare il governo di Macron dall’ennesimo passo falso. Al di là dei benefici, non solo economici, che la fusione avrebbe potuto portare ad entrambe le aziende automobilistiche, a prevalere è stata la ragion elettorale.

Dopotutto, la sconfitta patita alle Europee contro Marine Le Pen, in netta ripresa da un anno a questa parte (seguendo la scia dei partiti populisti europei), ha messo in crisi En Marche e tutto il suo entourage che, in un disperato tentativo di salvare “capra e cavoli”, ha cercato di lanciare un messaggio patriottico salvando la Renault da qualsiasi ingerenza straniera, soprattutto italiana.

Il fallimento della fusione: un’occasione mancata

Non si può nascondere il fatto che il fallito tentativo di fusione sia un’occasione mancata da ambo le parti. Da tempo manager ed esperti del settore sostengono che l’industria automobilistica soffra di un eccesso di produzione. La fusione tra i due marchi avrebbe agito da deterrente a questo surplus di capacità produttiva, razionalizzando la produzione e creando delle economie di scala. Queste avrebbero prodotto dei risparmi, a danno nel breve/medio periodo dei lavoratori, i quali però avrebbero patito lo stesso destino a causa della crisi occupazionale all’interno delle stesse aziende.

Le due case automobilistiche in questione hanno dimensioni comparabili. Il marchio italiano ha una leggera preminenza in quasi tutti gli indicatori poiché produce quasi un milione di veicoli in più e ha un valore di mercato leggermente superiore (18 miliardi contro i 15 di Renault) a fronte di un debito superiore a quello francese (15 miliardi contro 8,7). La fusione delle due aziende avrebbe prodotto un colosso automobilistico capace di competere con le più grandi casate mondiali e avrebbe prodotto dei rispiarmi (circa 5 miliardi di euro) da investire nell’ecologico, soprattutto nelle auto elettriche, da sempre uno dei settori meno interessati dagli investimenti FCA.

FCA è sicuramente uscita ridimensionata dalla fallita trattativa, sicuramente non si arrenderà e andrà alla ricerca di un partner. L’ambizione della casa automobilistica italiana potrebbe trovare uno sbocco interessante in Hyundai, da sempre interessata ad allargare i propri orizzonti nel Belpaese.

Il grande assente della trattativa: il governo italiano

L’accordo FCA-Renault non è mai stato un’operazione tra privati, soprattutto se si considera che il maggior azionista del gruppo automobilistico transalpino è proprio lo Stato francese. Inoltre, come tutti gli affari aziendali, le ricadute occupazionali, tecnologiche e industriali travalicano quella linea di demarcazione tra il pubblico e il privato. Il governo francese ha agito da “sovranista” al contrario di quello che sovranista si dichiara, cioè quello italiano.

Seppur l’atteggiamento del nostro governo, un pò troppo liberista, sia diventato un marchio di fabbrica tutto italiano rinvenibile in tutte le precedenti amministrazioni, l’affare appena sfumato dal valore di 35 miliardi di euro è una macchia difficilmente rimovibile dal curriculum del nostro esecutivo. Il governo italiano è il grande assente di questa trattativa, sicuramente anche a causa dei vari dissidi fanciulleschi tra Di Maio e Salvini, i quali hanno involontariamente (o volontariamente) deviato la discussione politica italiana dai temi più impellenti. Anche il malcapitato Conte, impegnato a sedare lo scontro tra i due azionisti di maggioranza dell’esecutivo, è in parte responsabile di quanto accaduto.

E’ stato ben poco giudizioso il mutismo selettivo da parte della classe dirigente italiana sulla vicenda. Il tema non è stato minimamente affrontato, se non nel più classico dei modi: addossare le colpe a qualcun altro, come dimostrano le dichiarazioni del “rinnovato” leader del Movimento Cinque Stelle e Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi di Maio.

Il non intervento, probabilmente, è da additare al gelo esistente tra Roma e Torino e ai quei famosi incentivi introdotti dai giallo-verdi per le auto elettriche e ibride, auto assenti dai listini FCA. Il governo, quindi, rimasto poco entusiasta ed estrano alla trattativa, non avrebbe avallato l’accordo FCA-Renault a causa dei dissidi derivanti dal contenuto della precedente manovra di bilancio, senza prevedere che, qualora avesse avuto luogo la fusione, l’FCA avrebbe quasi sicuramente dato il via alla produzione di veicoli elettrici-ibridi grazie all’acquisizione del know-how di Renault.

Ormai l’interventismo francese è cosa nota e gli italiani lo sanno bene. L’affare tra Fincantieri e Stx è in stand-by proprio per volontà dell’esecutivo di Macron che, ignorando gli accordi delle precedenti amministrazioni, ha voluto ridiscutere delle condizioni già prestabilite, incontrando il disaccordo del colosso nostrano.

Per FCA, si tratta invece, dell’ennesimo affare saltato. Dopo quello con Opel, GM e Peugeot sembrava esser arrivato il tanto atteso momento del salto di qualità con questa fusione da 35 miliardi di euro che avrebbe proiettato l’azienda torinese ai vertici della produzione automobilistica mondiale. Ora, la domanda che tutti si pongono è se la più grande industria manifatturiera italiana riuscirà a trovare un partner per crescere.

Questa necessità di trovare un alleato risponde ad una ben più evidente consapevolezza di riuscire ad acquisire un know how tecnologico nel settore delle auto elettriche. Il motore a scoppio o termico, ormai, sembrerebbe essere giunto al capolinea e soltanto l’Italia non ne è ancora consapevole. I tempi di questo passaggio saranno più o meno lunghi ma i produttori di auto già si son iniziati a muovere. Tutti tranne l’FCA. I numeri a favore del “progresso” sono chiari: un settore da ben 93 miliardi di euro, circa il 5,6% del PIL italiano. Il fallimento della trattativa Renault-FCA è un indicatore importante di quanto il nostro Paese sia in grado di rispondere al richiamo del futuro.

Non bastano, come risposta, i confusi incentivi per chi acquista auto elettriche e la tassa sul diesel. L’Italia, a causa della sua inettitudine, rischierà di non intercettare quei 225 miliardi di investimenti annunciati entro il 2023 per lo sviluppo del motore elettrico. Francia e Germania hanno annunciato investimenti pubblici e privati nel settore delle batterie per strappare la leadership nel settore alla Cina. Invece noi stiamo a guardare.

Le responsabilità del governo italiano sono molte. La prima sicuramente è quella di non aver presentato all’opinione pubblica l’accordo FCA-Renault come una grandissima opportunità per il nostro Paese e la nostra economia, al pari di quello della Nuova via della Seta. Perché Di Maio non ha avuto la stessa enfasi nel presentare quest’operazione, sicuramente più concreta rispetto a quella con Xi Jinping? Forse perché c’entrava la Francia del suo giurato nemico Macron? E perché Salvini non ha affrontato l’accordo FCA-Renault nelle sue numerose manifestazioni di piazza, presentandolo come un’opportunità “per gli italiani”?

La verità è che il governo francese ha potuto agire indisturbato imponendo le proprie condizioni, quello italiano, invece, non ha proferito parola nonostante si sia presentato come l’unico governo che avrebbe sempre fatto “ragion di stato” le istanze degli italiani.

Ecco, in questo caso, un intervento del Governo Conte, a favore dell’italica FCA sarebbe stato gradito.

Un esecutivo distratto dalle sue vicende interne, le quali stanno rimandando da troppo tempo lo svolgimento di una concreta e coerente attività di governo. Purtroppo, questa perenne inattività avrà delle pesanti ricadute sull’economia italiana, in una situazione stagnante da diversi anni e alla perenne ricerca di una soluzione per ripartire. L’accordo FCA-Renault è solamente la punta dell’iceberg dello stallo italiano.

Dal decreto crescita allo sblocca-cantieri, entrambi bloccati da diversi mesi all’interno delle stanze di Palazzo Chigi, una serie di ritardi che potrebbero avere delle conseguenze non gradite sulle condizioni del nostro Paese. Inoltre, con Bruxelles che ha dato il via allo scambio di missive anche lo scontro con l’Europa, solamente rimandato, potrebbe alterare ulteriormente la situazione interna, già traballante di suo.

Quando la politica italiana conta poco

L’accordo FCA-Renault è l’ennesima dimostrazione che quando la politica italiana è chiamata all’azione, questa si fa sempre trovare impreparata e incapace di elaborare una risposta adeguata alle esigenze. Da diversi anni il nostro Paese subisce delle umiliazioni in politica internazionale. Questo governo, dichiaratosi “sovranista” rappresentava l’ultima speranza di rivalsa, ma fino ad ora la situazione non sorride all’esecutivo del, seppur preparato, Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Le due forze governative, invece di battibeccare come due infanti viziati, dovrebbero unire le proprie forze e superare le divergenze per il bene del Paese, non soltanto all’interno della politica nazionale ma anche concependo una politica estera coerente. Lo schiaffo di Parigi, è solamente uno dei tanti fallimenti della politica italiana. Basti ricordare anche che il nostro è l’unico stato membro dell’UE ad non avere ancora una chiara posizione sulla situazione venezuelana. Anche sulla crisi libica il nostro governo non ha ancora preso una posizione, nemmeno in virtù degli interessi petroliferi nazionali.

La situazione è di difficile risoluzione, soprattutto se, ancora, i due litiganti continueranno a punzecchiarsi ignorando ciò che gli sta attorno. E se nemmeno la conferenza del Presidente Conte, il quale ha messo l’irresponsabilità di Salvini e Di Maio di fronte agli italiani, è servita a molto, allora è complicato prevedere le sorti del nostro Paese, e del nostro peso internazionale, nel breve e nel lungo termine.

ildonatello

FONTI:

https://www.ilmessaggero.it/economia/news/fca_renault_fusione_saltata_perche-4542759.html

https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2019-06-06/rottura-fca-renault-fallimento-sistema-091457.shtml?uuid=ACXTH0N

http://www.ansa.it/canale_motori/notizie/industria/2019/06/06/fca-renault-ritirata-proposta-fusione_0d06f111-6442-43f6-abb8-61444e061af3.html

https://ildonatello.altervista.org/la-nuova-via-della-seta-e-la-geopolitica-cinese-voci-fuori-dal-coro/

https://voce.com.ve/2019/02/07/387695/la-crisi-venezuelana-la-partita-del-riconoscimento-internazionale/

liberopensiero.eu/23/04/2019/politica/libia-immigrazione-destino-italia/(si apre in una nuova scheda)

ilfattoquotidiano.it/2019/06/03/governo-conte-serve-lealta-non-intendo-vivacchiare-salvini-e-di-maio-dicano-rapidamente-se-si-va-avanti-o-pronto-a-lasciare/5229122/(si apre in una nuova scheda)

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