L’Italia a due velocità: tra il TAV e il ritardo infrastrutturale

L’analisi costi-benefici relativa alla realizzazione del TAV, il treno ad alta velocità che collegherebbe Torino a Lione, non ha risolto alcun dubbio sulla sua realizzazione. Anzi, la sua diffusione, fortuitamente, ha dato luogo a nuove polemiche. Delle polemiche che sottolineano, ancora una volta, la divisione interna della maggioranza e soprattutto all’interno dell’azionista principale di questo Governo: il Movimento Cinque Stelle.

In particolare, la pubblicazione della suddetta analisi è coincisa con con l‘allarme smog in quasi tutto il quadrante nord della penisola e, manco a farlo apposta, il calcolo della commissione costi-benefici contiene un preoccupante “plauso” ai vantaggi derivanti dai traffici automobilistici. 

Un cortocircuito da manuale.

Fino a poco tempo fa il Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, si scagliava contro le trivellazioni nel Tirreno ed oggi in un’analisi costi-benefici vengono calcolati i proventi dal traffico su gomma? Non credo sia questo il modo di salvaguardare l’ambiente dal pericolo dello smog. Si spera che il Ministro dei Trasporti, Toninelli, faccia pace con se stesso e soprattutto con il suo collega Costa.

Certo, gli introiti sono sempre ben accetti, soprattutto in un periodo di crisi come il nostro. Ma siamo sicuri che questo “eccesso di consumi”, dovuti all’elevato prezzo del carburante, sia un bene per il nostro Paese? Non solo dal punto di vista ambientale, ovvio, ma favorire la dipendenza italiana dall’estero, quando si ha la possibilità di garantire la diminuzione delle immissioni, non è sicuramente la soluzione migliore per far quadrare i conti.

La relazione tecnica, sottolinea come irrinunciabili siano i vantaggi derivanti dal trasporto su gomma (più di dieci miliardi di euro), tenendo presente che tra Italia e Francia circolano più di due milioni di TIR l’anno. I costi derivanti dallo “scioglimento” del progetto, così è chiamato lo stop alla costruzione della linea ad alta velocità, non è quantificabile. Alcuni esperti contestano una grande confusione tra “i soldi” francesi, italiani ed europei.

Per fare chiarezza, il costo totale dell’opera si aggirerebbe attorno agli 8-9 miliardi di euro. Mezzo miliardo spetterebbe all’Europa, il resto ad Italia (4,6 miliardi di euro) e Francia. Le penali, rappresentano il punto più controverso. Innanzitutto per la prima volta i No Tav riconoscono che un blocco dell’opera comporterà delle penali da pagare. Anche se i tecnici non sono riusciti a quantificarne l’entità, ci si aspetta che superino, o si avvicinino ai 4 miliardi di euro (per finire il tunnel, come scritto sopra, ne servirebbero pochi di più). Però, il Ministro Toninelli, accorgendosi della poca differenza tra penali e completamento del TAV, ha preferito far sapere che quella cifra non corrisponde a verità poiché calcolata sull’intera opera. Nemmeno così la sostanza cambia, invece di 4,2 miliardi le penali ammonterebbero a 3,8 (2 di penali e 1,8 per raddoppiare l’attuale galleria del Frejus).

Bisogna riconoscere, però che il calcolo dei benefici, in ordine di milioni e di miliardi, non può essere facilmente calcolato e quindi il progetto rimane sia un’opportunità che un rischio. Se le cose dovessero andare bene, gli introiti potrebbero aumentare di diversi miliardi di euro, altrimenti il costo dell’opera supererebbe di gran lunga i benefici ricavabili dal commercio (800 milioni contro 4,6 miliardi di euro).

Una delle obiezioni più interessanti (e veritiere) riguarda il ritardo infrastrutturale italiano, inadeguato a gestire i flussi di passeggeri in continuo aumento. Perché discutere di TAV, un “buco” di ben 50 km nelle Alpi Cozie, se mezza Italia non ha conosciuto uno sviluppo infrastrutturale degno di un Paese industrializzato? Il Sud Italia, Napoli esclusa, non ha mai conosciuto l’Alta Velocità e i treni regionali, per compiere una tratta di un centinaio di km, impiegano diverse ore.

Da questo punto di vista sono 5,6 milioni gli italiani che usufruiscono del servizio su strada ferrata, in costante aumento da almeno 5 anni. In Italia, dunque, aumenta il numero delle persone che usano il treno, soprattutto nelle grandi città. Un dato che dovrebbe accendere una lampadina all’interno dei governanti, i quali devono assolutamente verificare se l’attuale sistema ferroviario saprà reggere l’urto del repentino aumento di pendolari.

Stando ai dati forniti dal Ministero dei Trasporti, gli investimenti per la costruzione e miglioramento della rete ferroviaria italiana hanno visto un netto calo (20%), a favore di quelli destinati alle strade e alle autostrade. (60%), come se il nostro Paese avesse scelto il trasporto su gomma. Quest’ultima affermazione viene suffragata da un triste confronto con gli altri Paesi dell’UE: ogni 100 abitanti, in Italia, ci sono 62,5 veicoli contro i 32 della Spagna e i 35 della Germania. Situazione che giustifica, a sua volta, l’allarme smog nel Nord Italia.

A livello regionale la situazione è ancora più degradante. Come anticipato nei paragrafi precedenti, più si scende a Sud e più le infrastrutture ferroviarie diventano una leggenda metropolitana. La peggiore tratta, stando all’ultimo rapporto, è quella tra Roma-Lido di Ostia, una tratta che nel corso degli anni ha subito ripetuti tagli al servizio. Subito dopo c’è da segnalare la Circumvesuviana (calo dei treni nel giro di 5 anni del 30%) e il Molise. La regione che per molti miscredenti non esiste, ha dovuto fare i conti con la chiusura di 1.300 km di linee ferroviarie, perdendo, di fatto, il collegamento con il mare.

Senza contare le “opere incompiute” che “servono” oltre 12 milioni di persone.

Il ritardo infrastrutturale italiano risponde ad una presunta logica di collegare tra loro i maggiori centri del Paese, senza tenere conto che la maggior domanda di trasporto proviene dalle realtà locali. Ad esempio, tra la linea Av Roma-Napoli, l’entroterra romano-campano rimane del tutto isolato dalla possibilità di usufruire del beneficio portato da questa linea ferroviaria.

In questo contesto, si pone il progetto TEN (Trans European Network).  L’integrazione infrastrutturale e dei trasporti risponde al preciso obiettivo dell’UE di affermarsi come legittima e riconosciuta istituzione. E quale miglior modo di “farsi conoscere” se non promuovere un mastodontico progetto infrastrutturale?

Il problema del ritardo, però, non è Europeo bensì italiano.  L’inesistente capacità di programmazione politica e la rapida diminuzione degli investimenti non possono essere addossate all’Unione Europea che, ovviamente, ora vuole che gli impegni presi dal nostro Paese vengano portati a termine. Gli investimenti del governo, in questi anni, si son concentrati a favore delle zone economicamente produttive, condannando il resto dello stivale all’isolamento.

L’attuale Governo, però, si è mostrato diviso sul da farsi, e questo perenne stato di indecisione trova le proprie radici nell’inadeguata comunicazione “istituzioni-cittadini”: sommaria è la conoscenza delle potenzialità del progetto, nulle sono le informazioni sugli obiettivi.  Sicuramente l’isolazionismo, prima diplomatico ora infrastrutturale, risulta controproducente sia dal punto di vista economico che da quello dell’integrazione comunitaria. In secundis la pessima esposizione del progetto da parte del politicante di turno ha reso tutto più difficile: i cittadini, tediati, non conoscono le reali potenzialità dell’intera TEN e, accecati da un deplorevole spirito anti europeo, si scagliano contro il TAV.

Trent’anni fa, la realizzazione di una linea ferroviaria ad Alta Velocità rispose ad un preciso obiettivo di sviluppo economico e culturale e la delegazione italiana in Europa lottò aspramente per permettere il passaggio di questa linea all’interno del nostro Paese, poiché avrebbe interessato l’area più sviluppata del Nord Italia con un ritorno economico non trascurabile. Il troncone Torino-Lione (per poi proseguire verso Lubiana), facente parte del più ampio, e irrealizzato corridoio Lisbona-KIev, avrebbe dovuto costituire il bastione comunicativo tra l’Oriente e l’Occidente della grande Europa. Però, ad oggi, soltanto una piccola parte del corridio è stata portata a termine e le proiezioni, al 2059, rendono molto difficile quantificare il costo totale dell’intero progetto, né tantomeno permettono di prevedere la definitiva realizzazione.

Uno degli obiettivi del corridoio ferroviario è la diminuzione dell’inquinamento derivante dal trasporto su gomma. Un obiettivo ambizioso, ancora irrealizzato, ma che rappresenterebbe sicuramente una buona notizia se fosse portato a termine. Uno sviluppo infrastrutturale adeguato, oltre a collegare il polmone economico del Paese con il resto d’Europa, comporterebbe un passo in avanti nella lotta allo smog. Però, ovviamente, non basterebbe il solo TAV, ci vorrebbe un progetto nazionale avente il fine di migliorare la situazione logistica del Paese.

Un adeguato collegamento logistico tra l’Unione Europea e l’Italia garantirebbe ninfa vitale alle grandi catene industriali del Nord che hanno trovato nel commercio estero con l’Europa Orientale un nuovo e remunerativo mercato di sbocco.

Questo, non viene specificato all’interno dell’analisi costi-benefici. Non viene specificato come l’Italia potrebbe perdere il treno definitivo in direzione Europa, in direzione sviluppo.

Il progetto bocciato dalla commissione costi-benefici, non è l’unico che l’Unione Europea ha studiato per il nostro Paese. Ce n’è uno in particolare che, da diverso tempo, ha catturato il mio interesse: il corridoio Genova-Rotterdam. Alcuni studi sottolineano come i benefici ricavabili dalla realizzazione di un progetto del genere sarebbero di gran lunga superiori a quelli del TAV.
Il corridoio tra le due grandi città portuali, genererebbe un flusso economico non indifferente tra la Padania, cuore industriale del nostro Paese, e la valle del Reno (Amburgo, Rotterdam, Anversa e La Manica), il cuore industriale dell’intera Europa. Inoltre, la realizzazione di una linea ferroviaria passante per Genova riconsegnerebbe al nostro Paese la vocazione mediterranea, permettendo di potenziare lo scalo portuale più grande d’Italia.
Il PP24, così è stato ribattezzato il progetto (PP sta per “progetto prioritario”), dunque, rappresenterebbe una manna dal cielo per la nostra economia. Ma a causa dello scarso “interesse europeo” per il progetto, i miseri contributi comunitari, tutti a favore del TAV (5 milioni contro 500), e la testardaggine italiana di seguire la direttrice commerciale Est-Ovest, hanno relegato il PP24 al ruolo di mera “intenzione”.
Le due ragioni principali per cui si è preferito dare credito al TAV e non al PP24 rispondono a due linee tendenziali: una esterna, proveniente dall’Unione Europea e dagli impegni finanziari del nostro Paese che privilegiano la direttrice est-ovest; l’altra invece risponde alle esigenze della regione Piemonte di uscire da un isolamento economico in vista di un “respiro europeo”.
Non c’è dubbio che il movimento No Tav, abbia delle buone ragioni per protestare, perché se da un lato lo sviluppo economico e il decongestionamento del traffico siano cosa buona e giusta, non si comprende perché si debbano impegnare delle ingenti risorse finanziarie senza prevedere un congruo ritorno economico alla Val di Susa.
La realizzazione del TAV, infatti, non prevede il miglioramento delle condizioni di vita di coloro che abitano la valle interessata, poiché quest’ultima rappresenta soltanto un’obbligata area di passaggio. I valsusini hanno già subito passivamente lo sviluppo economico della regione, vedendo deturpare il loro territorio, e sicuramente non intendono cedere all’ennesimo stupro territoriale senza un ritorno economico e commerciale congruo.
Le obiezioni al progetto, giustificate, a partire dalle richieste valsusine, dovrebbero essere ascoltate dalle istituzioni. Così come i governanti non devono ignorare le pessime condizioni logistiche del nostro Paese.
La predisposizione di interventi infrastrutturali all’interno del territorio nazionale, dovrebbe rappresentare una priorità per uno Stato industrializzato come il nostro. Inoltre, la discussione di un progetto europeo all’interno di una fantomatica commissione costi-benefici non dovrebbe rispondere ai meri fini elettorali di una formazione politica che deve tenere fede alle promesse (pena la perdita dell’elettorato).
Le infrastrutture rappresentano un’opportunità importante per qualsiasi Paese, su cui non possono essere operati degli studi sommari e infruttuosi. L’approccio, deve essere serio e attento, pena l’esclusione dai grandi corridoi di sviluppo del continente.
ildonatello

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