#TenYearsChallenge – Come sono cambiati i partiti italiani

In questi giorni sta impazzando sul web la #tenyearschallenge, un fenomeno narcisistico e nostalgico che vede gli utenti delle piattaforme sociali di tutto il mondo condividere un collage di due foto personali: una del 2009 e un’altra del 2019, a mo’ di confronto. Perché proprio il 2009? La risposta è presto data: l’anno in questione, fu un punto di svolta cruciale per i social, soprattutto per Facebook, i quali da semplici fenomeni di nicchia diventarono “globali”.

Sulla scia di questa tendenza credo sia interessante ed opportuno analizzare come sono mutati radicalmente i rapporti di forza tra i principali partiti all’interno del panorama politico della penisola.

Da un primo sguardo alle maggiori fazioni politiche del nostro Paese, si evince come la progressiva liquefazione del partito politico tradizionale abbia prodotto degli effetti devastanti sull’ancien régime a favore di quelle formazioni comunemente ribattezzate “anti-sitema”. Al di là del fatto che questi neo-partiti, ora al governo, presentino delle caratteristiche che ancora li accomunano al tanto odiato “sistema”, c’è da osservare che le misure messe in atto, soprattutto le ultime, rispondano al richiamo nazionalista che sta trovando eco all’interno dell’attuale mondo globalizzato. Questo richiamo, sta ad indicare come la precedente classe dirigente abbia sostanzialmente fallito, lasciando terreno fertile al proliferare dei sovranismi e dei nazionalismi vari.

A questa breve disanima deve necessariamente seguire una breve analisi su come siano cambiati i principali schieramenti politici all’interno del nostro Paese.

Il centrodestra, prima a trazione forzista, ha subito una repentina e radicale mutazione. Nel 2009, il Popolo della Libertà, il partito di Silvio Berlusconi, rappresentava “la motrice del centrodestra”, dopo essersi affermato alle Elezioni anticipate del 2008. La formazione politica del leader di Arcore si è sgretolata in una serie di piccoli partiti tra i quali spiccano la riedizione di Forza Italia e Fratelli d’Italia, guidata da Giorgia Meloni e costituitisi alla vigilia delle Elezioni del 2013. Dal 46,81% delle votazioni che consacrarono il centro-destra nel 2008 al 14% e al 4% delle ultime elezioni. A distanza di 10 anni, il carisma e “lo scendere in campo compulsivo” del pluridecennale Silvio Berlusconi non sono serviti ad evitare una naturale debacle.

Un risultato sorprendente, invece, è stato registrato dalla Lega, prima di Bossi ed oggi di Salvini. L’attuale Vicepresidente del Consiglio e Ministro dell’Interno, ha operato un’ambiziosa trasformazione del suo partito, da secessionista e nordista ad autonomista e nazionalista. Un lavoro di cucitura da manuale che ha permesso alla Lega (non più Nord) di spodestare Silvio Berlusconi dal trono del centrodestra. La Lega, dall’umiliante risultato del 2013 – 4,08% -, è riuscita addirittura a quadruplicare i propri consensi uscendo dal guscio della Padania e ad affermarsi nelle regioni rosse e nel Sud Italia.  Attualmente, stando agli ultimi sondaggi, la Lega sarebbe il primo partito italiano con il 31,1%.

Il centro, dilaniato da un declino perenne che risale a quel periodo culminato con la fine della Democrazia Cristiana, nel giro di un decennio è passato dall’onesto 5,62% del 2008 all’1,30 delle ultime elezioni. L’UDC di Pierferdinando Casini, però, nelle ultime elezioni è confluito all’interno della lista di centrodestra “Noi con l’Italia”, guidata da Raffaele Fitto. La creatura dell’ex Presidente della Camera (o meglio il suo elettorato), da buon partito di centro, si è sempre adeguato al periodo politico con cui doveva confrontarsi, appoggiando sia il Partito Democratico sia Forza Italia.

E qui viene il tasto più dolente di questa #tenyearschallenge: il centrosinistra.

Il solo Partito Democratico ha perso nel giro di un decennio più di 17 punti percentuali. Il tracollo delle ultime elezioni è ormai entrato nella storia e ha portato, probabilmente, alla fine della carriera politica “da grandi palcoscenici” di Matteo Renzi e alla totale crisi interna del partito, ormai ridotto ad un colabrodo. Le varie correnti, di democristiana tradizione nonostante il partito sia “di sinistra”, hanno creato una totale disaffezione dell’elettorato nei confronti di quello che fino ad un decennio prima sembrava l’unico argine al dilagare del centrodestra. Anche se circoscrivere la crisi del PD al solo 2018 è assolutamente riduttivo, la debacle del centrosinistra ha radici lontane, risalenti, paradossalmente, al suo momento di massima affermazione.

Ciò non ha impedito al Partito Democratico di rappresentare, al giorno d’oggi, il maggiore partito di opposizione del Governo Conte, assieme a Forza Italia.

La caduta di Matteo Renzi, ha aperto una voragine che dovrà culminare necessariamente con l’elezione di un nuovo segretario che vada a sostituire il “reggente” Maurizio Martina. Le primarie, previste per Marzo 2019, vedono avanti nei sondaggi Nicola Zingaretti, Presidente della Regione Lazio, e lo stesso Martina. Al nuovo Segretario l’arduo compito di riformare un Partito distrutto, sciatto e abbandonato a se stesso, soprattutto in vista delle Elezioni Europee di Maggio.

L’altra ala della sinistra, guidata nel 2008 dall’ex magistrato Antonio Di Pietro, ha subito un ridimensionamento passando dal 4,34% allo 0,54%. L’Italia dei Valori, il partito contro l’illegalità, si è presentato assieme alla lista dell’ex Ministro Beatrice Lorenzin, Civica Popolare, non riuscendo ad eleggere nessun parlamentare. Sarebbe riduttivo identificare come “meteora” il partito del celeberrimo magistrato molisano, però l’effetto suscitato nei confronti dell’elettorato italiano è stato tale da cancellarlo nel giro di un decennio.

Stessa sorte per il Partito Socialista italiano: dalla coraggiosa “corsa in solitaria” nel 2008, ha visto calare repentinamente i propri consensi nel 2018, dove accompagnato dai Verdi (nella lista insieme) è riuscito ad eleggere un deputato e un senatore.

I partiti extraparlamentari, in sostanza quasi tutti neo-comunisti, hanno visto un drastico calo di consensi che ha portato alla decisione, nel 2018, di presentarsi alle Elezioni sotto le insegne di Potere al Popolo. Nonostante lo sforzo di riunire tutti i “rivoluzionari dell’ultim’ora” sotto lo stesso tetto, Potere al Popolo resta ancora ben lontano dalla fatidica soglia di sbarramento, il cui superamento permetterebbe di accedere al Parlamento.

L’unico partito extraparlamentare che ha registrato un timido aumento dei consensi è stato Forza Nuova. La nuova “estrema destra”, presentatosi con la fiamma tricolore nella lista Italia agli Italiani, è passato dallo 0,30% al 0,39%, ancora lontano dall’ottenere un posto nel democratico Parlamento italiano.

Coloro che hanno colto l’occasione di sfruttare il fenomeno della #tenyearschallenge, collegandolo alla politica, non hanno ritenuto necessario trattare del Movimento Cinque Stelle per il semplice fatto che nel 2009 l’attuale partito di Governo era ancora lontano dall’affermarsi a livello nazionale.

Io credo, invece, che ciò dovrebbe essere un incentivo per sottolineare come nel giro di 10 anni il M5S è passato dal 2,64% ottenuto alle elezioni comunali di Roma del 2008 (sotto l’egida di “Amici di Beppe Grillo”) al 32,66% delle Elezioni Politiche del 2018. Un crescendo assolutamente sbalorditivo.

Un piccolo appunto sull’affermazione di questo partito extraparlamentare, nato nell’ottobre del 2009, credo sia doveroso farlo.

L’attuale azionista di maggioranza del Governo Conte, si è fatto conoscere al grande pubblico soltanto nel 2013, ottenendo il 25% e risultando, già da allora, il primo partito italiano.

La formazione guidata dal campano Luigi Di Maio, attuale Ministro del Lavoro, è riuscita a riscuotere un ampio consenso a causa della liquefazione del partito italiano tradizionale, troppo impegnato in una serrata lotta per la sopravvivenza per accorgersi del progressivo abbandono da parte dell’elettorato. Il Movimento Cinque Stelle, dalle elezioni regionali siciliane (primo vero banco di prova) dell’aprile del 2008, dove ha ottenuto l’1,72%, è passato al 25% del 2013 e al 32,66% del 2018. Una serie di risultati che hanno sottolineato come l’insofferenza popolare si sia riversata sull’unico soggetto politico in grado di raccoglierla.

Il fenomeno “5 Stelle”, di cui si ignora la durata, è stato sicuramente importante perché ha permesso al popolo italiano di riavvicinarsi alla politica, con i pro e i contro del caso. Anche se non mancano i lati negativi di questa sorprendete “riqualificazione dell’attività politica”. Il tifo da stadio, inaugurato nel 2013 da Beppe Grillo e dai suoi “adepti”, è sicuramente il lato più deplorevole del fenomeno pentastellato. Poiché ridurre la politica ad una semplice lotta tra fazioni per la conquista di un “trofeo” (una poltrona ndr), è sicuramente controproducente perché isola dalla discussione le reali tematiche della politica culminanti nel perseguimento del filosofico “bene comune” da parte del popolo. E la garanzia del raggiungimento del “bene comune” deve essere appannaggio del governante, il quale deve ponderare le proprie scelte senza farsi prendere dalla frenesia e dalla sete di potere.

In conclusione, i risultati di questa #tenyearschallenge sono chiari: al giorno d’oggi la vecchia classe dirigente ha fallito e il popolo si è rivolto ai quei partiti che propugnano un repentino ricambio generazionale (parzialmente avvenuto) e una riforma di quel sistema marcio e pericoloso. Soltanto il tempo, magari un’altra #tenyearschallenge nel 2029, ci dirà se questa tanto agognata rivoluzione avverrà.

ildonatello

 

Vi posto la mia rubrica riguardante le Elezioni Politiche del 2018, la quale cerca di ripercorrere punto per punto il pre-elezioni e il post-elezioni con delle minuziose analisi sui vincitori e sui vinti:

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