Piazza Fontana: uno spartiacque nel giornalismo italiano – Pillole di storia

Il 12 dicembre 1969 alle ore 16:37 la neonata Repubblica Italiana conobbe Piazza Fontana. In pieno centro, a Milano, una bomba posta sotto un tavolo al centro della Banca Nazionale dell’Agricoltura, esplose provocando 17 morti e 88 feriti.

L’attentato era stato preceduto da mesi di forti tensioni sociali (il Sessantotto) e da gravi episodi di disordine pubblico. Durante l’autunno caldo Milano era stata teatro di scontri, scioperi e manifestazioni e la strage fu il momento culminante di una escalation di violenza che segnò uno spartiacque nella storia del Paese. Effettivamente si può parlare di una storia della Repubblica “prima” e “dopo” Piazza Fontana.

La strage e gli eventi successivi, determinarono un deciso cambiamento di passo non solo nella storia politica del Paese ma anche in quella del giornalismo italiano. Fino ad allora i quotidiani nazionali si limitarono a seguire delle brevi note che servivano a tenere a bada l’opinione pubblica. Dopo Piazza Fontana, le cose cambiarono.

La figura centrale attorno alla quale si concentra l’eccidio di Piazza Fontana è quella di Marcello Guida, ex direttore fascista del Carcere di Ventotene e questore di Milano. Funzionario di lungo corso, coordinò non solo le indagini ma, per qualche tempo, fu anche la sola fonte di notizie per i giornalisti che si occupavano di Piazza Fontana.

La prima pagina del quotidiano L’Unità del giorno dopo della strage – fonte Wikimedia Commons

Già nella sera dell’attentato egli tenne una breve conferenza avente il preciso obiettivo di tracciare il punto della situazione. Questi incontri divennero una sorta di marchio di fabbrica di quel concitato periodo in cui le persone seguivano con apprensione quanto stava accadendo. Il questore dichiarò di non voler tralasciare nulla e di non escludere a priori la pista dell’anarchismo di sinistra, poiché poco tempo prima, alla Fiera di Milano, si verificò un evento simile. La sera stessa un commissario di polizia, Luigi Calabresi, ruppe gli indugi e si espose sulla vicenda dichiarando che secondo lui bisognava insistere sulla pista anarchica poiché lo stesso giorno della strage era stata messa una bomba davanti la statua del Milite Ignoto, a Roma: “quelli di destra non fanno queste cose“.

Il 14 dicembre fu fermato un certo Pietro Valpreda, un ex ballerino anarchico. In molti credettero che con questo arresto si fosse giunti alla fine. Gli inquirenti furono indirizzati da un ex militante di destra e dalla convinzione generale che la strage fosse opera degli anarchici. La pista Valpreda fu avvalorata anche dai servizi segreti, dalla magistratura romana e da una parte dei mass media e fu annunciata il 16 dicembre da Marcello Guida durante la consueta “conferenza”. Un tassista aveva riconosciuto l’anarchico e aveva dichiarato che con sé portava una valigia sospetta.

In quei giorni i mass media si scatenarono con titoloni e ritratti da profiler. I fogli moderati diedero per chiuso il caso, altri, come l’Unità si mostrarono prudenti sottolineando come l’accusa fosse arrivata da una testimonianza e non da una prova.

Nelle ore in cui l’inchiesta su Piazza Fontana sembrava essere arrivata ad una svolta, negli uffici della sezione politica della Polizia di Milano un uomo, Giuseppe Pinelli, “si gettò” dal quinto piano dell’edificio durante un interrogatorio. Morì in ospedale. Il questore Guida dichiarò subito che si trattava di un suicidio: “Pinelli messo alle strette avrebbe optato per la “scelta più semplice”. Una versione che non convinse tutti.

Alcuni giornalisti decisero di intervistare la moglie del deceduto la sera stessa. Carlo Rossella de “La Stampa”, si recò all’abitazione della vittima e intervistò la moglie, ancora ignara di tutto, la quale diede una versione che non coincise con quelle date successivamente. Questa fu la prima di tante incongruenze che portò molti giornalisti, soprannominati poi i”pistaroli“, tra cui spicca Marco Nozza, a convincersi che lo Stato aveva mentito. Pinelli aveva un alibi.

Perché lo Stato aveva mentito? Questa domanda inaugurò un nuovo modo di fare giornalismo. Delle “mezze notizie” date dalla polizia in conferenza stampa non ci si poteva più fidare e il colpevole silenzio menzognero dello Stato nascondeva qualcosa di molto scomodo. Piazza Fontana, dunque, non fu solo la madre di tutte le stragi ma anche quello spartiacque tra due modi diversi di fare giornalismo e contribuì alla nascita del giornalismo investigativo.

Pillola di storia a cura di Donatello D’Andrea

Fonte immagine: Wikimedia Commons

Fonti per approfondire:

Il pistarolo. Da Piazza Fontana, trent’anni di storia raccontati da un grande cronista, di Marco Nozza

Sulla strage di Piazza Fontana del 1969: “Piazza Fontana, racconto di una strage”, documentario RAI

Marco Nozza, la grande lezione del ‘pistarolo’, di Gianni Barbacetto su Il Fatto Quotidiano

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